Italia 90 è il primo Mondiale di cui ho dei ricordi concreti. Ricordo di aver visto il Camerun vincere l’Argentina in una piccola televisione con antenna che un compagno delle elementari aveva messo di nascosto nel suo zaino. Ricordo anche quella leggendaria partita dei quarti di finale tra la squadra africana e l’Inghilterra di Gascoigne e Lineker. Sono sicuro di aver visto la finale, orgoglioso che un arbitro uruguaiano/messicano stesse nel campo da gioco, anche se alla fine, come tutta l’umanità, mi sono annoiato orribilmente.
Nonostante abbia guardato poche partite –quando le trasmettevano io ero a scuola – il Mondiale era una presenza costante nella mia vita grazie all’album Panini. Per mesi non parlavo d’altro, ossessionato con scambiare le figurine, riempire le pagine, ottenere bustine, rubare quelle doppie ai miei compagni. Non ricordo aver visto giocare la Svezia, il Brasile o gli Stati Uniti, eppure posso ricordare la metà delle loro formazioni e, en in alcuni casi, anche le squadre dove giocavano alcuni dei loro giocatori: ho passato tanto tempo con l’album nelle mani che praticamente ho finito con l’impararlo a memoria. Se alla fine del primo anno delle elementari ci fosse stato un esame sui mondiali, avrei preso l’unico dieci della mia pagella. Non potendo vedere le partite da scuola, il Panini diventò la mia finestra sul Mondiale. Aiutava, certo, che il riempirlo fosse un’autentica impresa. Forse per un difetto nel sistema di distribuzione dell’editore, l’enorme maggioranza di noi aveva bisogno delle stesse figurine. Chi riusciva a trovarle era oggetto di ammirazione e invidia. Alla fine, dopo mesi di insistenza con i miei genitori perché mi comprassero le bustine, di scambiarle con metà scuola, di andare a chissà quante edicole per vedere se le vendevano “sciolte”, me ne mancava una sola per completarlo: il sovietico Vasilij Rats, nell’ultima fila della pagina. L’ho vissuto come una sconfitta, al punto che non ho neppure conservato l’album, simbolo del mio fallimento. Non avevo ancora preso coscienza del regalo che Panini mi aveva fatto.
Prima di Italia 90 il calcio era una presenza marginale nella mia vita. Ci giocavo appena e non vedevo le partite nei finesettimana, in buona misura perché non sapevo chi giocava e contro chi, tanto nella serie A messicana come nelle sintesi del calcio internazionale. Al calcio mancava un contesto: non sapevo chi erano i migliori giocatori, squadre, nazionali. Riempire il Panini ha dato al calcio una sorta di specificità che prima non aveva. Adesso sapevo, per esempio, che nella serie A italiana – la migliore del mondo- giocavano Jürgen Klinsmann e Rudi Völler nell’Inter e nella Roma, Diego Armando Maradona nel Napoli e Claudio Caniggia nell’Atalanta, e il tridente olandese formato da Van Basten, Rijkaard e Gullit nel Milan. Le partite e i risultati acquistarono colore e significato. Rivalità di cui avevo sentito pèarlare durante il Mondiale –la battaglia a sputi tra Völler e Rijkaard negli ottavi di finale, per esempio– ora esistevano aldilà dell’album e della Coppa del Mondo. Conoscere i giocatori con il Panini mi ha spinto a seguire squadre e, da lì, i campionati. Poco tempo dopo ho scelto la Juventus di Torino come squadra del cuore. Nel 1994, Roberto Baggio e l’Italia erano i miei preferiti (dopo il Messico, ovviamente). Prima che iniziasse il Mondiale sapevo già chi avrebbe giocato, come e dove si erano classificate quasi tutte le squadre. Il Panini, non solo è stata la mia porta d’entrata al calcio, ma anche una specie di corso introduttivo per una conoscenza più profonda dello sport.
Ammetto che da qualche tempo ho smesso di seguire il calcio e vedere le partite che non siano quelle della Champions o parte di qualche torneo importante come l’Eurocoppa. Iniziare a riempire il Panini ritorna a vincolarmi con lo sport: un’altra volta imparo le formazioni, memorizzo gli scontri, annoto le partite che mi colpiscono di più. Ma ritorno anche a connettermi con il bambino di otto anni che, nel riempire il suo primo album, iniziava a innamorarsi del calcio: le maglie colorate, la competizione, le gare e i loro giocatori. Ogni quattro anni ritorno alla mia infanzia, ripetendo uno dei movimenti che più mi riportano a quel momento: scollare una calcomania, con molta cura e incollarla dove deve esserlo. Mi dà fastidio che riempire il Panini nel 2018 costi una fortuna: come passatempo è adesso poco democratico; sono sicuro che non passerà il Mondiale senza commettere l’irresponsabilità di riempirlo. Continuo a vederlo come una scommessa sul futuro e, se una cosa del genere esistesse, anche sul passato.
*Coeditore del sito internet di Letras Libres
Traduzione dallo spagnolo di Silvia Pizio