Da circa 30 anni in Cile sono state incendiati, e a volte rasi al suolo, quasi 40 luoghi di culto cristiano: cappelle, chiese rurali, centri liturgici. Nella giornata di venerdì 12 gennaio, mentre il Paese si prepara a ricevere Papa Francesco lunedì, sono state attaccate con la medesima modalità almeno altri 4 e forse 5 luoghi di culto. Sino ad oggi nessuno fra autorità, inquirenti o tribunali, è stato mai in grado di dimostrare con certezza indiscutibile, e oltre ragionevole dubbio, chi sta dietro a questo singolare fenomeno mai debellato e del tutto inedito nella regione latinoamericana. Di certo c’è solo l’arresto del 9 giugno 2016, quando 4 “comuneros mapuches ” sono stati portati in carcere con l’accusa di aver incendiato un piccolo tempio evangelico. D’allora il numero dei luoghi di culto dati alle fiamme è cresciuto enormemente (oltre 20) sia nell’Araucanía che in Bíobío.
Diversi studi e indagini socio-politiche arrivano da tempo alla medesima conclusione: con ogni probabilità il “caso dell’incendio di chiese” (caso del incendio de iglesias) è legato ad una sorta di movimento rivendicativo nato, cresciuto – e coperto – in ambienti del popolo mapuche che da numerosi decenni si batte per il riconoscimento del genocidio subìto sin dall’arrivo degli spagnoli ad oggi, e soprattutto per la restituzione – al meno in parte – delle terre che in particolare dalla metà del 1800 in poi si sono visti sottrarre legalmente e illegalmente.
Tutto ciò che di positivo si è fatto negli ultimi anni, dopo la dittatura di Pinochet (che con i mapuches è stata feroce), da parte dei governi democratici per risolvere i principali problemi e avviare un dialogo costruttivo non è stato sufficiente. Anzi, in questo contesto è cresciuto, in particolare tra le nuove generazioni, spesso giovani acculturati e con ottima preparazione, un fortissimo senso della “nazionalità mapuche” al punto che in molti ambienti si sottolinea che il Cile è un Paese e uno stato bi-nazionale, formato da cileni e mapuches. Una tale rivendicazione, oggi non riconosciuta né accettata, se un domani diventasse legale e costituzionale porterebbe ad una forma istituzionale diversa dall’attuale (fortemente centralista), includendo la questione delle terre sottratte e/o espropriate.
Ecco allora la questione: una sorta di avanguardia politico-intellettuale mapuche, agguerrita e ben organizzata, ormai opera all’interno di una tattica cosiddetta di “propaganda armata” (possibile preambolo di una lotta armata vera e propria come si è visto in altri Paesi della regione) mentre un’altra parte del Paese, soprattutto nei settori sociali e politici conservatori, con la legittima copertura della legge, fa di tutto per negare il fenomeno e le sue prospettive non molto tranquillizzanti. Si discute molto se applicare o no in questi casi le famigerate leggi antiterrorismo di Pinochet (1984).
Intanto, fra queste due posizioni, in molti, governo, partiti, chiese cristiane, ong e istituzioni pro sviluppo, provano ad individuare una terza via. In questo senso la parola di Papa Francesco, che sicuramente ribadirà e aggiornerà quella di s. Giovanni Paolo II, può essere un grande contributo al bene comune dell’intero Paese.