Nell’anno 1982, l’Assemblea Costituente dell’Honduras approvò una nuova magna carta in cui la rielezione presidenziale era proibita in modo definitivo e incontrovertibile. Né con una riforma costituzionale, né con un plebiscito, poteva essere cambiato l’articolo che impediva al presidente della repubblica di continuare nel mandato. Questo divieto è entrato a far parte delle cosiddette disposizioni “scritte nella pietra”. E il codice penale dispose di considerare il semplice tentativo di promuovere la rielezione come crimine di tradimento alla patria.
L’estrema lungimiranza dei legislatori proveniva dalla storia del paese, piagata da dittature militari, elezioni fraudolente e presidenti ambiziosi di rimanere seduti sulla sedia presidenziale per molto tempo o per sempre, che significa anche appropriarsi delle istituzioni, sottometterle e corromperle.
Nel giugno 2009, il presidente Manuel Zelaya, del Partito Liberale, promosse la celebrazione di un referendum popolare attraverso quella che chiamò “quarta urna” per cercare di aprire la strada per convocare una nuova Assemblea Costituente, e fu accusata di voler eliminare l’articolo di pietra che gli impediva di essere rieletto.
A seguito della grave crisi scoppiata, l’esercito, con il sostegno dell’Assemblea Nazionale controllata dagli oppositori conservatori del Partito Nazionale, lo rovesciò. Come se stessimo guardando di nuovo lo stesso vecchio film, Zelaya venne buttato giù dal letto in pigiama a mezzanotte, caricato su un aereo ed espulso in Costa Rica.
Nel 2014 ha prestato giuramento come presidente Juan Orlando Hernández, del Partito Nazionale, e l’anno seguente un gruppo di suoi deputati ha presentato ricorso alla Corte Suprema di Giustizia affinchè le disposizioni “scritte nella pietra” che vietavano la rielezione fossero abrogate. Il semplice fatto di formulare la petizione, già permetteva alle autorità giudiziarie di poterli perseguire, fino a poterli licenziare dalle loro cariche e inabilitati politicamente, perdendo anche la cittadinanza, “per incitare, promuovere o appoggiare la continuità o la rielezione del Presidente della Repubblica “, secondo la lettera della stessa Costituzione.
All’opposto, la Corte Suprema, dominata dai magistrati del Partito Nazionale, fu del tutto compiacente con il ricorso. Lo ammise, e dette la ragione a coloro che lo interposero. E così stabilì che le disposizioni costituzionali che vietavano la rielezione presidenziale erano incostituzionali, aprendo in questo modo la strada affinché il presidente Hernández si potesse candidare di nuovo.
Queste sono le radici del dramma che l’Honduras sta vivendo adesso, dopo le elezioni del 26 novembre di quest’anno, quando un discusso Tribunale Supremo Elettorale è stato impedito di dichiarare un vincitore di fronte a un voto equamente diviso tra il presidente Hernández, trasformato in candidato grazie a una sentenza spuria, e il candidato dell’Alleanza di Opposizione contro la Dittatura, il presentatore televisivo Salvador Nasralla, appoggiato dall’ex presidente deposto Manuel Zelaya.
Il conteggio iniziale che favorì Nasralla cambiò bruscamente dopo interruzioni intermittenti del sistema elettronico di computo elettorale. Quando il sistema fu ripristinato, Nasralla passò da vincitore a sconfitto. Tutto un atto di prestidigitazione digitale.
L’essenza dei risultati elettorali accettata da tutte le parti è quella di stabilire una governabilità, qualcosa che sembra difficile da ottenere adesso, quando il Tribunale Elettorale ha concluso un nuovo conteggio parziale dei voti senza la presenza dell’opposizione, e mantiene il basso margine di vantaggio a favore del presidente Hernández.
L’opposizione non accetta i risultati e chiede un nuovo conteggio totale, o l’annullamento delle elezioni per celebrarne di nuove, cosa che sembra più che improbabile che possa ottenere; e anche se gli osservatori dell’Unione europea e dell’OEA avallano lo scrutinio ufficiale, l’ombra della frode non può essere dissolta, e quindi la legittimità della rielezione di Hernández non potrà essere ottenuta, il che equivale ad un grave retrocesso per la credibilità del sistema democratico che, in un modo o nell’altro, e tra battute d’arresto, è comunque riuscito a progredire per più di trent’anni in America centrale e in America Latina in generale.
Nei paesi dove la legittimità istituzionale non viene raggiunta, la rielezione presidenziale si trasforma in un male dalle conseguenze perniciose, perché rafforza quella perversione del potere che abbiamo sofferto endemicamente, come il caudillismo autoritario.
Non devo tornare nelle aule di una facoltà perché il mio professore di diritto costituzionale mi spieghi di nuovo la piramide di Kelsen: nella gerarchia legale non c’è nulla al di sopra della Costituzione, posta al vertice, mentre tutte le leggi e gli altri atti istituzionali sono subordinati ad essa e, pertanto, una sentenza giudiziaria non può cancellare né emendare ciò che la Costituzione stabilisce dall’alto. Ma è quello che purtroppo ha fatto la Corte Suprema della Costa Rica, quando nel 2003 ha ordinato l’annullamento del divieto di rielezione stabilito da una riforma costituzionale nel 1969. Questa sentenza, emanata in un paese di riconosciuta tradizione democratica, creò un precedente disastroso che venne poi seguito in Nicaragua, in Honduras e ultimamente in Bolivia.
Nel 2010, la Corte Suprema di Giustizia del Nicaragua, dominata da magistrati del partito dal comandante Daniel Ortega ha dichiarato inapplicabile l’articolo della Costituzione che impediva la rielezione, e così ha potuto presentarsi candidato per un secondo periodo nelle elezioni dell’anno seguente, che naturalmente ha vinto, come ha vinto le altre, giustificato dagli argomenti filosofici dei suoi compagni del tribunale, espresso in lettere maiuscole: “il diritto di Eleggere e di Essere Eletti, non può essere modificato… per essere un diritto sostanziale ed essenziale all’essere umano”.
Evo Morales, che accumula diversi mandati come presidente della Bolivia, ha cercato di continuare e rieleggersi e per questo ha convocato un plebiscito, che ha perso. Non ha smesso di insistere. Ora la Corte Costituzionale lo autorizza a presentarsi di nuovo come candidato a tempo indeterminato. La proibizione costituzionale, dice la sentenza, farebbe violenza ai suoi diritti politici.
Ciò che è scritto nella pietra è scritto nell’acqua.