Franquelina è una donna rotonda come una figura di Botero, dalla capigliatura bianca e vaporosa come il cotone; sfiora i 93 anni e si vanta di essere uno dei pochi abitanti d Dabeiba che ha conosciuto di persona madre Laura. Doveva avere sei anni quando la vide per la prima volta, robusta e carina come nelle fotografie che oggi passano di mano in mano per tutta la Colombia. “E’ arrivata perfino a bisticciare con gli indigeni, notoriamente feroci e duri, che non si lasciavano domare facilmente. Mia mamma mi raccontava che anche l’alcalde l’aveva cacciata dal villaggio perché diceva che era una tenutaria. Ma lei è ritornata e si è piantata lì”. Sospettosi dopo quattrocento anni di sfruttamento, gli indigeni embera-katíos si erano rifugiati nel folto della foresta, lontani dalla protezione di Dio, “nelle tane del demonio”, come racconta madre Laura nella sua autobiografia. E proprio lì è andata per evangelizzarli, convincerli che erano anche loro anime di Dio, quindi suscettibili di redenzione. Questa è la ragione per la quale il simbolo della congregazione è attraversato dalla parola sitio, “ho sete”, la quinta parola che Gesù pronuncia sulla croce, la cui interpretazione si riferisce alla sete di anime di Cristo e che madre Laura si è impegnata a saziare in un punto remoto della civiltà, là dove era più necessario agire.
E’ arrivata a Dabeiba sulla schiena di un mulo il 14 maggio del 1914, accompagnata da sua mamma e da altre quattro giovani volontarie, e lì ha fondato la prima casa della congregazione Missionarie di Maria Immacolata e Santa Caterina di Siena, che oggi è sparsa in 21 paesi, compresi due dell’Africa, e può contare con più di 800 missionarie. Rosalba Dominicò, una indigena di El Pital, nei dintorni di Dabeiba, dove madre Laura ha piantato il primo noviziato, evoca così i racconti di suo padre: “Quando Madre Laura è arrivata, tutti avevano paura, erano molto sospettosi, poi però hanno visto che lei era buona. Gli indios erano nudi e lei li ha vestiti, gli ha dato indumenti e da mangiare, gli ha insegnato a leggere e a coltivare i fagioli, il grano e la yuca. Il mio papà mi ha raccontato che è stata lei a risollevarci tutti”.
Ci furono anche degli indigeni invidiosi che avevano poca fiducia nelle capacità di quella estranea, e meno ancora riguardo alle sue intenzioni evangelizzatrici. Ma la madre li ha conquistati poco a poco. All’inizio, avvalendosi di prodigi soprannaturali che sono diventati leggendari: che poteva debellare la piaga delle cavallette, che curava le malattie, che aveva stretto un patto con gli animali feroci per tenerli alla larga nelle loro incursioni notturne, che aveva il potere di placare le tempeste. Ma le sue virtù terrene hanno ottenuto un effetto ancora maggiore: si è mescolata con le comunità del posto, ha imparato le loro usanze, si è alimentata con il loro stesso cibo e si è conquistata la fiducia a forza di essere come loro. Li faceva venir fuori dalle loro capanne con l’aiuto di un grammofono a manovella, che oggi è un reperto da museo da cui però si possono ottenere ancora melodie arrugginite. Poi ritornava nelle loro case per passarvi la notte.
Oggi non è più necessario fare prodigi e attrarre gli indigeni con la fonola, ma le suore Laurite conservano con zelo religioso gli insegnamenti della loro fondatrice per continuare la sua opera. Ogni settimana, a gruppi di due o tre, come agli inizi, le missionarie visitano gli indigeni nelle loro capanne per assisterli fisicamente e spiritualmente. María Nubia è una delle leader indigene del gruppo di Choromandó, stanziato nella foresta ben all’interno, a qualche chilometro da Debeiba, al di là del Río Sucio, nella gola de Las Lloronas. Con l’aiuto delle suore Laurite è stata impiantata una precaria fabbrica di sapone da cucina, che poi vendono a venti mila pesos il pezzo per ricavare fondi per costruire una cisterna d’acqua. “Abbiamo imparato molto da lei – afferma -, a organizzarci, a gestire progetti comunitari. Quello che mi piace di più è che sono come noi”. Indubbiamente i loro mezzi di sussistenza continuano ad essere precari, basati in una agricoltura artigianale che non va oltre la yuca, il grano, la ahuyama e il pomodoro. Ma anche così l’opera di madre Laura a Dabeiba sostiene 33 comunità indigene, per un totale di 10.000 abitanti circa, e il suo lavoro non si limita all’appoggio sociale. C’è una scuola e un ricovero per bambini handicappati. Molti indigeni continuano ad essere restii a ricevere aiuto e le suore devono andare nelle loro capanne per convincere i genitori della necessità di educare i propri figli. Suor Luisa, superiora della casa di Dabeiba, afferma che uno dei principali benefici della scuola è stato quello di salvare molte bambine dal rimanere incinta prematuramente; e ai bambini di non lasciarsi tentare dall’unirsi a gruppi di insorti.
Perché Debeiba non ha smesso di essere un luogo duro dal punto di vista dell’ordine pubblico; più di una volta ha sofferto occupazioni guerrigliere e le controffensive dei paramilitari e, più recentemente, la minaccia delle mine disseminate negli anni di conflitto. In mezzo a questo difficile panorama, le suore Laurite forgiano il loro cammino di redenzione, appoggiate sull’impeto della loro fondatrice.
Forse uno dei migliori esempi del lascito di madre Laura lo personifica suor Kelly Osorio. Nata a San Andrés de Sotavento, Córdoba, appartiene all’etnia Senú e si vanta di saper tessere il famoso cappello di paglia vueltiao. Da bambina è stata testimone del lavoro sociale ed evangelico della congregazione delle Laurite nella propria comunità, e ha deciso di unirsi a loro per convinzione, persino contro la resistenza che le opponevano i genitori. “Io, come indigena, mi sono resa conto che potevo aiutare nella stessa maniera le altre etnie e culture”. Poche come lei capiscono la realtà di queste comunità minoritarie. “Il problema degli indigeni è la divisione che ha favorito la politica. Si sono dispersi per paura e per sfiducia. Noi abbiamo cercato di riunirli perché recuperino le loro usanze e i loro valori, che era ciò che voleva madre Laura. Ancora oggi li dobbiamo convincere che hanno un anima, a non lasciarsi morire. Se l’indigena emberá è malato, si lascia morire come un animale. Bisogna renderli coscienti che sono delle persone, che siamo uguali, che siamo diversi solo nel modo di pensare, che Dio capisce l’indigeno emberá”.
Suor Kelly simbolizza l’opera sociale che ha iniziato madre Laura e che oggi conclude il suo ciclo con una indigena cresciuta dalle suore Laurite, convertita in una di loro, proseguendo la sua missione a Dabeiba, dove è cominciato tutto, dove la prima santa colombiana si è data anima e corpo in un apostolato insolito, del quale tutto il mondo adesso parla. Ma paradossalmente un secolo dopo essere iniziata la missione continua la sensazione che ancora ci sia tutto da fare.