36 anni dopo la strage di El Mozote un modesto ma coraggioso giudice di El Salvador, Jorge Alberto Guzmán Urquilla, appare deciso nella sua volontà di ricercare giustizia e verità per le vittime della mattanza di quel villaggio e altri luoghi dove, tra l’8 e il 13 dicembre 1981, l’Esercito della dittatura salvadoregna sterminò centinai di contadini, donne, anziani, adolescente e bambini. I terribili comandi anti-guerriglia del governo, dopo una vera e propria strage degli innocenti, si ritirò dai sette luoghi del massacro (El Mozote, La Joya, Ranchería, Los Toriles, Jocote Amarillo, Cerro Pando e Cerro Ortiz) lasciando questa scritta: “Da qui è passato il Battaglione Atlacatl, gli angioletti dell’inferno”.
Le cronache dell’epoca. Le cronache dell’epoca raccontano «il battaglione Atlacatl, corpo scelto dell’esercito salvadoregno addestrato dagli istruttori della CIA statunitensi, e comandato dal colonnello Domingo Monterosa fa irruzione nel piccolo villaggio di El Mozote, nell’est del Paese. La gente di questo villaggio ha sempre appoggiato i guerriglieri della FMLN che combattono contro la dittatura salvadoregna offrendo loro cibo e riparo. Il colonnello Monterosa ha deciso di punire questo tradimento. I soldati entrano nel villaggio, cominciano a sparpagliarsi raggruppando gli uomini, le donne e i bambini. Chi oppone resistenza viene sparato a bruciapelo sulla nuca e si affloscia come una bambola di pezza, il resto degli uomini ancora in piedi viene chiuso nella chiesa che viene fatta saltare con la dinamite. Le donne vengono raggruppate al centro della piazza, alcuni soldati scelgono le più belle e le portano dietro gli alberi, vengono violentate ed infine sgozzate, le altre messe in fila e uccise con la mitragliatrice. I bambini e i neonati piangono spaventati dal rumore degli spari e dal vento freddo che porta l’odore di carne bruciata degli uomini nella chiesa. Alcuni vengono gettati nei forni del pane ancora accesi, i più piccoli e leggeri vengono lanciati in aria e infilzati con la baionetta. Sono stati sterminati tutti, solo una donna e un bambino sono riusciti a fuggire e di nascosto hanno osservato quel massacro di cui rimarranno per sempre gli unici testimoni».
Il processo si è riaperto solo nel mese di settembre scorso e i testimoni ascoltati sono ormai quasi 30, ma in realtà all’origine del procedimento giudiziario c’è una denuncia fatta il 26 ottobre 1990 da parte di Pedro Chicas Romero. Fino al 1993 si fecero alcune timide indagini e quando dopo la firma degli Accordi pace (1992) venne approvata una legge di amnistia tutto si fermò e la ricerca di giustizia si interruppe.
Successivamente, nel 2012 e poi nel 2016, venne chiesto fuori e dentro il Paese che il processo venisse riaperto ma solo con le testimonianze del generale José Guillermo García, ex ministro della Difesa, e il generale Juan Rafael Bustillo Toledo, ex capo della Forza Aerea salvadoregna, il processo ha acquisito anche un rilevante interesse mediatico. Domenica scorsa l’arcivescovo di San Salvador, mons. Luis Escobar Alas, nella sua tradizionale conferenza stampa dopo la Messa ha voluto ricordare la lunga e ormai travagliata storia di questo processo chiedendo che sia ottenuta verità e fatta giustizia. Il presule ha poi aggiunto che la Chiesa aprirà i suoi archivi sul periodo della guerra interna e dunque è possibile ipotizzare che questo processo e altri si possano avvalere di questo materiale di straordinario valore. Queste fonti dell’epoca costituiscono un vero e proprio tesoro, voluto e difeso dal beato Oscar A. Romero e attorno al quale in passato sono state tentate diverse manovre per impadronirsi di migliaia di documenti.
Archivio dell’Ufficio Tutela legale. Il 20 ottobre 2013 mons. José Luis Escobar Alas, arcivescovo di San Salvador, parlando con la stampa ha dichiarato con grande fermezza: «Gli archivi dell’Ufficio Tutela legale non saranno mai consegnati al Procuratore generale». Questi archivi, proprietà della Chiesa salvadoregna, conservano la memoria storica documentata di almeno 50.000 casi di persone che dal giorno della loro fondazione (1977) per volere dell’arcivescovo Oscar Romero, hanno chiesto protezione e aiuto alle autorità ecclesiastiche locali, in particolare quando i diritti umani dei salvadoregni erano violati sistematicamente, soprattutto da parte dei regimi di destra.
Nel mese d’ottobre 2013 funzionari della giustizia tentarono di realizzare l’inventario di migliaia e migliaia di questi documenti in gran parte cartacei. Mons. Escobar Alas ha voluto aggiungere, per essere chiaro fino in fondo: «Se qualcuno pensa che ci lasceremo espropriare di questi documenti, deve sapere che non lo permetteremo». Negli stessi giorni l’arcivescovo ricevette poi numerose critiche da più parti dopo aver informato l’opinione pubblica che aveva deciso di chiudere gli uffici della “Tutela legale”, organismo ereditato dall’opera pastorale dei suoi predecessori: Arturo Rivera y Damas e Oscar Romero.
Il 3 novembre 2013 quattro dei cinque giudici della Corte Suprema salvadoregna decisero, con una sentenza molto chiara e definitiva, che «gli Archivi dell’Ufficio “Tutela Legale”, recentemente chiuso per volere dell’arcivescovo mons. Luis Escobar Alas che ha annunciato una riorganizzazione dell’organismo ecclesiale, sono proprietà della Chiesa cattolica locale e nessuno è autorizzato a sottrarli e neanche a prendere visione delle migliaia di documenti e supporti audio-video che integrano questo importante patrimonio della memoria storica del Paese».
Alcune settimane fa, la Segreteria per la cultura della presidenza e la Direzione del Patrimonio culturale hanno provato ad impadronirsi di questi archivi usando come pretesto la decisione arcivescovile di riorganizzare l’Ufficio. La stampa locale vicina al governo ha fatto serpeggiare l’accusa, gratuita e senza fondamento, che si voleva far scomparire questa documentazione. La Corte Suprema ha ordinato a questi due organi dello Stato di mettere fine a qualsiasi azione destinata a sottrarre alla Chiesa locale questo archivio e ha precisato perentoriamente: «L’archivio non può essere consultato da nessuno e la Chiesa cattolica salvadoregna, come ha fatto sino ad oggi, ha il dovere di custodire questa documentazione con imparzialità e cura».
L’arcivescovo di San Salvador giorni fa ha ripetuto con nuova fermezza che la Chiesa salvadoregna non è disposta a consegnare o far visionare gli archivi dell’ex ufficio Tutela Legale dell’arcivescovado, affermando che essi: «sono documenti di proprietà della Chiesa Cattolica e non consentirò che possano essere letti da persone che non hanno nessun titolo al riguardo. É in gioco la riservatezza che meritano le vittime che in passato si sono fidate della Chiesa e hanno chiesto il suo aiuto. Sono disposto a morire per difendere la riservatezza delle vittime».