Domenica 10 settembre Papa Francesco visiterà la quarta e ultima città colombiana, una delle località più belle del continente americano: Cartagena de Indias. Il Papa, proveniente da Bogotà (distante 653 km), arriverà alle 10 circa e poi dal medesimo aeroporto, alle 18.45 circa, farà ritorno a Roma. Nella principale città caraibica della Colombia Francesco benedirà la prima pietra delle case per i senzatetto e dell’Opera Talitha Qum, poi reciterà l’Angelus e infine farà una visita alla Casa Santuario di San Pietro Claver. Alle 15.45 è previsto il trasferimento in elicottero dalla Base Navale all’area portuale del Contecar dove, Papa Francesco, presiederà la Santa Messa. Cartagena, il cui nome completo è Cartegena de Indias, è dunque la quarta e ultima tappa del 20° Viaggio Apostolico in Colombia che impegnerà papa Francesco dal 6 all’11 settembre; si tratta dell’unica città sul mare inserita nel programma della visita. Con circa 900.000 abitanti Cartagena è la principale destinazione turistica della Colombia e una delle più frequentate della regione caraibica, grazie soprattutto alla sua favorevole posizione geografica in una baia contornata di isole e lagune e alla sua ricca storia derivante dall’essere stato il principale porto del continente durante il periodo coloniale spagnolo. Cartagena de Indias, denominata città eroica per la strenua difesa della sua indipendenza dal dominio spagnolo nel secolo XVII, dichiarata dall’Unesco “patrimonio culturale dell’umanità per la sua storia e monumenti, chiamata “perla del Caribe” per le sue bellezze naturali, è stata per oltre due secoli la piazza di mercato degli schiavi africani.
Cartagena venne fondata nel 1533 da Pedro de Heredia, che battezzò il nuovo insediamento col nome di una città spagnola della Murcia. Nel luogo dove venne costruita Cartagena viveva una popolazione chiamata Calamarì, di cui i resoconti spagnoli narrano che fosse feroce e amante della guerra, al punto che anche le donne combattevano al pari degli uomini. Pochi anni dopo la fondazione della città, gli spagnoli costruirono una fortezza munita di mura per proteggere la regione contro i pirati inglesi, olandesi e francesi. Nonostante ciò, Cartagena venne attaccata numerose volte proprio per la sua posizione dominante e cruciale per le vie marittime della zona. Per porre un freno alle continue incursioni, nel corso del XVII secolo la corona spagnola assunse i migliori ingegneri militari europei, i quali dotarono Cartagena di quelle strutture difensive che ne sono ancor oggi l’elemento più caratterizzante.
Nel marzo del 1741 si presentò davanti al porto della città un’enorme flotta inglese, agli ordini dell’ammiraglio Edward Vernon, composta da 186 navi e 23.600 uomini. La guarnigione della città disponeva di sole 6 navi e 3.000 uomini, ma l’assedio venne infine respinto dal generale ed ammiraglio Blas de Lezo, grazie soprattutto alle opere ingegneristiche costruite negli anni precedenti. Cartagena fu un attivissimo porto dedito al commercio degli schiavi, l’unica città insieme a Veracruz (in Messico) autorizzata al commercio con i neri. I primi schiavi giunsero fin dalla fondazione della città, lavorando nella costruzione di strade, profanazione di tombe della popolazione Sinu e nella costruzione di edifici e fortezze. Gli agenti della compagnia portoghese Cacheu distribuivano carichi umani da Cartagena in tutta l’America del Sud, per lavorare nelle miniere di Venezuela, Indie Occidentali, il Vicereame del Perù e il Vicereame della Nuova Granada.
Dopo più di 275 anni di dominazione spagnola, anche Cartagena, come il resto della Colombia e di altri paesi del Sud America, fu coinvolta nelle operazioni militari volte a ottenere l’indipendenza dal Vecchio Continente. La città passò di mano tra gli indipendentisti e i realisti per più volte, solo nel 1821 le truppe spagnole vennero definitivamente cacciate dalla città per opera del generale repubblicano Mariano Montilla. Cartagena fu l’ultima città della Colombia ad essere liberata dagli spagnoli e la guerra segnò profondamente l’abitato, che solo a partire dal 1880 cominciò gradualmente a riprendersi dagli effetti collaterali del conflitto. Il XX secolo ha portato alla città un grande sviluppo sotto molti punti di vista: la città si è ripopolata grazie anche ai grandi flussi internazionali che portarono nuova linfa in un tessuto sociale che era profondamente cambiato a cavallo dei due secoli. I crescenti commerci internazionali, lo sviluppo industriale e la rivoluzione informatica hanno contribuito alla più recente crescita della città che ha conosciuto un vero e proprio boom demografico negli ultimi decenni.
Negli anni ’90 Cartagena si è distinta per aver accolto il maggior numero di profughi provenienti da varie regioni del paese, soprattutto quelle andine, in fuga dalla guerra civile. Il 26 settembre 2016, la città è stata scelta come luogo ufficiale per la firma degli Accordi di pace tra il Governo del presidente Juan Manuel Santos e il leader del gruppo di guerriglieri delle FARC-EP, Timochenko. Per l’assistenza alle vittime del conflitto e per le visite compiute da 13 capi di stato dell’America Latina, dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon; dal Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, John Kerry; da Re Juan Carlos I di Spagna, dal Segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin; da diversi governatori della Colombia e da altre personalità nazionali ed internazionali, la città è diventata centro di notizie in tutto il mondo e ormai è riconosciuta come la città della pace.
La città di san Pietro Claver. La scelta di Cartagena per la firma di questi Accordi, oggi in via di applicazione dopo la ratifica dell’Assemblea Nazionale, ha avuto un significato e una rilevanza importanti come ha dichiarato pubblicamente il Presidente colombiano ricordando “s. Pietro Claver, santo grandemente amato dalla città, è stato proclamato difensore dei diritti umani e in questo processo (di negoziazioni) le vittime e i loro diritti sono stati messi al centro. Perciò abbiamo scelto Cartagena de Indias, città dove visse e morì il santo gesuita spagnolo”. Pietro Claver (Verdú, 25 giugno 1581 – Cartagena, 8 settembre 1654) giovanissimo nel 1610 sbarcò a Cartagena, dove per 44 anni fu missionario tra gli africani fatti prigionieri e portati in America in un periodo in cui ferveva la tratta degli schiavi. “Mentre gli schiavi stavano rinchiusi a Cartagena, aspettando di essere acquistati e destinati a differenti località, Claver li istruiva e li battezzava. Nelle domeniche di Quaresima li riuniva, li interrogava riguardo alle loro necessità e li difendeva contro i loro oppressori. Questo lavoro causò a Claver difficili prove, e i mercanti di schiavi non erano ovviamente i suoi soli nemici. Fu accusato di incauto zelo e di avere profanato i sacramenti, dandoli a creature che “a malapena possedevano un’anima”. Le donne della buona società di Cartagena si rifiutavano di entrare nelle chiese dove Claver aveva riunito i suoi “negri”. I superiori di Claver furono spesso influenzati dalle molte critiche che venivano loro rivolte. Nondimeno Claver continuò la sua missione, accettando tutte le umiliazioni e aggiungendo penitenze rigorose alle sue opere di carità. Gli mancava l’aiuto degli uomini, ma riteneva di avere forza da Dio. Durante la sua vita battezzò e istruì nella fede più di 300 000 neri. Fu beatificato il 16 luglio 1850 da Pio IX e canonizzato il 15 gennaio 1888 da Leone XIII. Il 7 luglio 1896 fu proclamato patrono di tutte le missioni cattoliche tra i neri. Le reliquie del santo si conservano nella città presso l’altare maggiore della chiesa a lui dedicata. Padre Jorge Mamacho, parroco attuale della chiesa, racconta che Pietro Claver, appena vedeva, dalla piccola finestra della sua stanza, arrivare le navi cariche di africani catturati per essere schiavi diceva: “E’ Cristo che viene a me”. Subito dopo, con i suoi aiutanti, si recava al porto per portare abiti, cibo, medicina e soprattutto misericordia e conforto.
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