Dopo quattro anni di progressivo restringimento, le favelas sono tornate a espandersi a Rio de Janeiro. È quello che mostra l’indagine realizzata dall’Instituto Pereira Passos (IPP) tramite fotografie aeree e pubblicata sul quotidiano O Globo. La ricerca rivela che l’area totale delle 1.018 comunità di Rio è aumentata dello 0,31% tra il 2012 e il 2016, totalizzando 46,12 milioni di metri quadrati in più. Non sembra molto, ma è come se, in quattro anni, fosse sorta nella città di Rio un’altra favela con 10mila abitanti.
I numeri sintetizzati dalla ricerca mostrano che l’obiettivo dell’ex sindaco Eduardo Paes di ridurre del 5% l’area totale delle favelas tra il 2008 e il 2016 non è stato raggiunto: la diminuzione in questo arco di tempo è stata solo dell’1,81%. Neanche un’altra promessa, quella di urbanizzare cento comunità attraverso il programma “Morar Carioca” è stata mantenuta: sono stati iniziati o conclusi lavori solamente in 27 favelas tra il 2013 e il 2016.
Stando alle conclusioni dell’Istituto Pereira Passos, negli ultimi quattro anni la maggiore espansione, tanto in valore percentuale che in valore assoluto, è avvenuta nella Zona Ovest di Rio, dove si trovano sei delle dieci favelas che hanno registrato la maggior espansione. Chi è in cima alla lista, invece, è Seu Pedro, una piccola comunità a Inhaúma, nella Zona Nord, che è cresciuta del 78,58% tra il 2012 e il 2016. In termini di valore assoluto invece, la Vila Rica di Irajá, che comprende il Complexo di Acari, anch’esso nella Zona Nord, è stata quella che più è aumentata, guadagnando 28.685 metri quadrati. Tra le favelas che più sono cresciute ci sono Nova Jersei, a Santa Cruz, e Vila Taboinha, a Barra da Tijuca. Nella Zona Sud della città carioca, c’è stato un aumento soprattutto nel celebre quartiere di Copacabana e Botafogo, incentivato dal progresso delle costruzioni nel Morro dos Cabritos (5,57%) e nella Ladeira dos Tabarajas (18,35%).
Cause. A detta degli specialisti l’aumento disordinato delle favelas di Rio de Janeiro dipende in larga misura dalla discontinuità delle politiche pubbliche e dalla mancanza di coordinamento tra di esse. Il direttore della Câmara Metropolitana, l’architetto e urbanista Vicente Loureiro ritiene che “La cosa giusta da fare è urbanizzare, riconoscere, regolarizzare, aumentare dove sia possibile, rifare le fondamenta dove sia presente qualche rischio e lavorare con la produzione formale, con maggiore qualità, fornendo sicurezza e accesso ai servizi fondamentali e alle infrastrutture”. Ma lamenta che è proprio quello “che non si è mai riusciti a fare bene in Brasile. I lavori sono intermittenti. C’è molta discontinuità”.
Il presidente dell’Instituto dos Arquitetos do Brasil, Sérgio Magalhães, è sulla stessa lunghezza d’onda. “A Rio, le urbanizzazioni di alcune aree non sono portate avanti” afferma. “Si attua una politica di sicurezza e, poi, viene abbandonata. Non si mantiene quello che è già stato costruito. Il potere pubblico volta le spalle alla città, tanto quella formale quanto quella informale”. La mancanza di un progetto più uniforme, secondo Magalhães, fa sì che si perdano molte risorse durante il percorso di risanamento. “Il costo per portare acqua e scarichi a questi nuovi territori ammonterebbe a 9 milioni di reais (2,6 milioni di dollari). L’universalizzazione della rete fognaria in tutte le comunità costerebbe invece 2,94 miliardi di reais (9,36 milioni di dollari)”, afferma.
Coniugare le politiche edilizie di utilizzo e di occupazione del suolo urbano e dei trasporti è la soluzione prospettata dal geografo Cláudio Egler per invertire la tendenza all’espansione delle favelas. “Senza una regolazione dei prezzi della terra e degli immobili urbani, una parte della popolazione continuerà a non avere accesso alle case. E, di conseguenza, abiterà in immobili irregolari, ad elevato rischio”. Cláudio Egler è convinto che senza disporre di un’offerta di alloggi adeguati nelle aree più vicine ai luoghi di lavoro e senza un sistema di trasporto pubblico che permetta a chi vive nelle favelas di spostarsi da casa a lavoro con un minimo di comodità e affidabilità, queste persone preferiscano abitare in condizioni precarie. “É il prezzo che accettano di pagare per non dover essere obbligati a impiegare fino a sei ore al giorno nel tragitto tra casa e lavoro, e viceversa”.
Traduzione dal portoghese di Giulia Romano