MADRE E GUERRIGLIERA. Le FARC hanno registrato negli ultimi mesi un vero e proprio ‘baby-boom’, con decine di nascite dall’inizio dei negoziati di pace lanciati nel 2012

Guerrigliera delle FARC incinta in un accampamento di smobilitazione (Foto Luís Acosta AFP/Getty Images)
Guerrigliera delle FARC incinta in un accampamento di smobilitazione (Foto Luís Acosta AFP/Getty Images)

San José de Oriente, Colombia. Josleidy Ramírez ha passato più della metà della sua vita nella guerriglia FARC. Durante il cruento conflitto in Colombia ha avuto un bambino che non ha potuto allevare e adesso, quando si prepara a deporre le armi, è in attesa di un figlio della pace. “Ho un figlio che ormai è un uomo! Ma non ho contatti con lui”, dice alla AFP, con una mano sul ventre che lascia intravedere una gravidanza di quattro mesi.

Tra la speranza e l’incertezza, questa guerrigliera di 32 anni si prepara a tornare alla vita civile, come altri 200 membri del blocco Martín Caballero delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC, marxiste) concentrati in una zona di disarmo vicino a San José de Oriente, nell’arido nordovest del paese.

Josleidy si è unita alle FARC a 15 anni, la stessa età che ha oggi il suo figlio primogenito. “E’ in casa di un familiare in una città, e sta bene (…) lo prenderò con me quando vedrò che davvero si è realizzato questo processo di pace”, afferma, rifiutandosi “per sicurezza” di dare il nome dell’adolescente, il cui padre è morto in combattimento.

In novembre, poco prima che il governo di Juan Manuel Santos firmasse con la guerriglia l’accordo che cerca di porre fine a cinque decenni di guerra interna, è rimasta di nuovo incinta del suo compagno attuale, un altro ribelle. Josleidy non nasconde i suoi timori rispetto alla stabilità della pace in un paese devastato dalla violenza che ha messo guerriglieri, paramilitari e agenti statali gli uni contro gli altri, lasciando almeno 260.000 morti, oltre 60.000 ‘desaparecidos’ e circa 6,9 milioni di sfollati. “Mi preoccupa il suo futuro”, dice riguardo al bambino che ha intenzione di far nascere in questa zona di disarmo, una delle 26 del paese in cui, a fine maggio, il principale gruppo guerrigliero della Colombia deve consegnare i fucili sotto la supervisione dell’ONU per convertirsi in un movimento politico. Non voleva essere madre di nuovo, stava pensando di tornare a studiare. Adesso “bisogna” affrontare entrambe le cose, afferma con un sorriso triste questa ribelle soprannominata “La Catira” (la bionda) per la sua pelle chiara.

Come tutte le donne delle FARC -40% di circa 7.000 combattenti- usava anticoncezionali, come esigeva il regolamento interno. La spaventava la possibilità di una gravidanza perché temeva che suo figlio potesse diventare un obiettivo militare contro la guerriglia. Ciononostante, a 17 anni rimase incinta. Le diedero permesso per uscire e si nascose in “un paesino” con sua madre. “Lo diedi alla luce e lo consegnai alla mia famiglia quando aveva tre mesi”, racconta. E poi è tornata a imbracciare il fucile: “Non avrei certo tradito la mia organizzazione!”.

Assicura che nessuno le ha chiesto di abortire: “Qui non è mai stato un obbligo. Qui sono nati tanti bambini, tanti. Molti sono fuori del paese, figli di guerriglieri e guerrigliere. Sono nascosti per sicurezza. Forse con questo processo ritorneranno”.

Ex guerrigliere hanno dichiarato invece il contrario. Il 9 marzo, la Spagna ha concesso l’estradizione di Héctor Albeidis Arboleda, “l’infermiero”, segnalato come colui che ha interrotto alla forza la gravidanza di “centinaia di integranti dei gruppi armati illegali”, e fra essi, delle FARC e dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), attualmente in fase di dialogo di pace con il governo. Per Josleidy, questo è “propaganda nera dell’estrema destra”.

Gladys Narbais, di 44 anni, è d’accordo. Ha avuto un figlio in un campo nella Sierra de Santa Marta, che si vede in lontananza. “Me lo hanno lasciato avere senza nessun problema”, afferma riguardo al bambino che ha portato con sé per un anno e otto mesi, ma ha poi finito per consegnarlo a una famiglia “perché, a causa della guerra, non si può portarselo dietro”.

Da allora, ha visto suo figlio solo due volte: quando aveva 10 anni e quando ne aveva 15. “Soffrivo molto (…) Però sapevo che sarebbe stato bene”, dice, con gli occhi che le brillano mentre parla di Fernando, studente di informatica di 24 anni.

Le FARC hanno registrato negli ultimi mesi un vero e proprio ‘baby-boom’, con decine di nascite dall’inizio dei negoziati di pace lanciati nel 2012. Andrés David, seduto in braccio a sua madre, che veste l’uniforme verde oliva, è uno di loro.

“E’ nato il 15 ottobre del 2012 (…) già c’era speranza”, ricorda Margot Silva, che ha passato 16 dei suoi 30 anni nella guerriglia e ha avuto suo figlio in un altro campo.

“Avere un figlio qui è come nascere di nuovo”, aggiunge il suo compagno, Mario Rodríguez, di 33 anni, che è entrato nella guerriglia ad appena nove anni, dopo l’uccisione di suo nonno da parte di paramilitari.

Anche Josleidy vede tutto sotto una nuova luce. “Cercherò mio figlio e, con l’altro che aspetto, potremo formare una famiglia”, dice, sognando un futuro insieme al suo attuale compagno.

Traduzione dallo spagnolo di Francesca Casaliggi

*Nuevo Herald

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