LE CITTA’ DELLA GUERRIGLIA. Le Farc della Colombia costruiscono le loro basi civili nei punti stabiliti dagli accordi, dove resteranno a lungo. Per tante ragioni…

Arrivano per restare (Foto AP)
Arrivano per restare (Foto AP)

La maggioranza dei quasi 7.000 guerriglieri concentrati nelle circoscrizioni speciali non andranno da nessuna parte dopo aver deposto le armi. Perché e cosa faranno?

Sono piccole cittadelle, non accampamenti. Quando si entra nei luoghi che le Farc stanno costruendo nelle 26 circoscrizioni del paese si percepisce che non saranno provvisori. Su terrapieni rivestiti di cemento si innalzano pali di legno, rivestimenti di eternit e alloggi individuali di 24 metri quadrati per i guerriglieri, e la loro costruzione in serie è simile a quella di un quartiere. Ci sono aule, depositi per l’acqua, impianti di energia, bagni e docce mobili. Tutto questo nel mezzo della selva, come a Putumayo, sulla cima delle montagne, come a Miravalle e Caquetà, o nel mezzo della pianura, come a Charras nel Guaviare. Ciascuna di queste cittadelle ha ricevuto investimenti per circa 5 miliardi di pesos (1 milione e seicentomila euro, approssimativamente, N.d.T.). In alcuni casi è stato necessario costruire strade e rinforzare ponti solo per trasportare i materiali. E’ un costo insignificante se si tiene presente che si tratta di porre termine a una guerra di mezzo secolo. Le costruzioni sono ancora a metà strada, ma già si può dire che hanno vocazione di permanenza. Vale a dire, alla fine di maggio, quando terminerà la consegna delle armi e le FARC si trasformeranno in un partito politico, la gran maggioranza degli ex combattenti rimarrà lì per varie ragioni.

La prima è che, secondo calcoli del governo, 20 per cento dei guerriglieri non hanno famiglie che li accolgano dopo l’armistizio, dato che hanno passato troppo tempo in combattimento e hanno rotto i legami con il mondo esterno. Vale a dire, non hanno un luogo dove andare.

La seconda ragione, riconosciuta dalle stesse Farc, è il grado di analfabetismo dentro le sue file, che arriva all’80 per cento. Un gruppo di università ha offerto appoggio al reinserimento attraverso un programma che potrebbe permettere di ottenere il diploma delle scuole elementari e superiori in poco più di un anno. Questa è la misura minima del lasso di tempo in cui molti di loro dovrebbero rimanere concentrati. Allo stesso tempo, dovrebbero imparare qualche professione che li prepari a una vita produttiva.

La terza ragione è che i combattenti delle Farc si reinseriranno nella vita civile collettivamente, attraverso schemi di cooperative di lavoro societario, e con una modalità molto legata ai territori in cui in altri momenti hanno combattuto la guerra. E’ una cosa nuova in Colombia, dove gli ex combattenti, sia che fossero delle guerriglie o delle AUC (Autodifese Unite della Colombia, N.d.T.), hanno intrapreso un cammino individuale di reinserimento nella società e il concetto che è prevalso è quello della “uscita” dal territorio. Quest’ultima cosa non succederà con le Farc.

Una quarta ragione per la continuità di questi accampamenti è che molti, non si sa ancora quanti, di coloro che devono presentarsi davanti alla giustizia speciale di pace, dovrebbero aspettare lì la loro sentenza, tra l’altro per motivi di sicurezza.

Jean Arnault, capo della missione politica dell’ONU, ha detto in un’intervista recente che nessuno dovrebbe protestare se le Farc restano in questi accampamenti qualche mese in più. Mesi che possono essere in realtà due o tre anni. Questa è la proiezione temporale che l’infrastruttura delle istallazioni fa prevedere. Il rivestimento, il legno, il terrapieno. Un gruppo di generali ritirati già si è fatto sentire per segnalare che questo sarebbe un rischio per la sicurezza nazionale e ha evocato lo spauracchio delle repubbliche indipendenti che hanno dato origine, in qualche modo, a questa guerra.

Ma questa figura non ha spazio oggigiorno. Una volta che le Farc abbiano deposto le armi, cosa che accadrà a fine maggio, spariranno le circoscrizioni speciali e la forza pubblica potrà realizzare il suo lavoro in tutte queste aree, senza alcun limite. Gli ex combattenti delle Farc saranno come gli altri contadini della zona. Né più, né meno. E il vero problema di sicurezza nazionale sarebbe espellerli verso una società senza essere preparati a vivere in essa. Ciò nonostante, i militari si fanno eco di un timore che hanno espresso alcuni settori in queste stesse regioni. Molti di questi accampamenti si trovano in zone in cui nei prossimi anni si metteranno in marcia i 16 Programmi di Sviluppo Rurale con Orientamento Territoriale, che dovrebbero attrarre un grande investimento sociale. Queste zone coincidono con le 16 circoscrizioni speciali per la Camera dei Rappresentanti pattuite all’Avana, e che, sebbene non siano per le Farc né per il loro partito, sì lo sono per le organizzazioni e i movimenti sociali locali, molti dei quali risentono degli influssi delle Farc.

Allo stesso tempo, la dinamica del reinserimento delle Farc, che anch’essa sicuramente comporterà investimenti e misure di appoggio sia da parte del governo locale che da parte della cooperazione internazionale e del settore privato, genera un contesto favorevole per il loro movimento politico. Questa coincidenza più che una gabella è un incentivo costruito all’Avana per far sì che una guerriglia antica e tenace passasse dalle armi ai voti.

Rimanere in queste zone è effettivamente il piano delle Farc. Ma non è un piano tenuto nascosto, bensì un proposito che esse difendono apertamente. Come ha detto Benkos, uno dei liders delle Farc a Vigìa del Fuerte, al confine tra Chocó e Antioquia: “Resteremo perché siamo di qui e qui faremo politica”. Il proposito è proprio quello di far coincidere la dinamica dello sviluppo rurale, del lavoro politico e del reinserimento, con l’obiettivo di costruire il loro partito in queste zone.

Come molte iniziative nuove, questo genera timore e resistenze. Ci sono alcuni che temono che le Farc mantengano influenza e potere nella regione. Ma questo non è un problema, anzi, al contrario, è una soluzione. Le Farc lasciano le armi, non la loro vocazione di potere. Adesso, tutto dipende da come lo faranno. Che dimostrino che così come passano alla legalità, lo faranno anche verso una cultura democratica. Che abbandonino i metodi coercitivi utilizzati per decenni per imporre la vita comunitaria. E’ la sfida che affronta la dirigenza delle Farc, e anche lo stesso Stato.

Il governo ha capito poco a poco che molti guerriglieri resteranno a vivere per un certo tempo in queste cittadelle. E questo richiede una pianificazione. Una volta terminate le circoscrizioni transitorie, bisognerà creare qualche figura specifica del post conflitto per dar loro una relativa stabilità temporale. Nel governo, c’è chi crede che questo dovrebbe realizzarsi sotto il controllo della missione dell’ONU e con un orientamento diretto chiaramente alla riconciliazione. Non c’è motivo per cui questo costituisca una minaccia, e invece, al contrario, potrebbe favorire un reinserimento più graduale e solido per i 7.000 guerriglieri che oggi vedono il loro futuro solo come una nebulosa.

Traduzione dallo spagnolo di Francesca Casaliggi

Semana

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