Non avevamo un volto da cercare e neanche un nome. Avevamo soltanto un luogo. Il pomeriggio di domenica 1° maggio 2015, poche ore dopo l’atterraggio a Buenos Aires, con ancora la stanchezza del lunghissimo volo e un po’ di spaesamento per il jet-lag, abbiamo varcato per la prima volta la Porta Santa del santuario della Madonna di Pompei. Ci aveva colpito la frequenza con cui Papa Francesco aveva citato in diverse occasioni, meditazioni e omelie, un sacerdote. Un confessore. Lo aveva additato come modello raccontando di una risposta che gli aveva dato.
La prima volta ne aveva parlato il 6 marzo 2014, incontrando i parroci di Roma. «Se uno vive questo su di sé, nel proprio cuore – aveva detto Francesco parlando della misericordia in confessionale – può anche donarlo agli altri nel ministero. E vi lascio la domanda: come mi confesso? Mi lascio abbracciare? Mi viene alla mente un grande sacerdote di Buenos Aires, ha meno anni di me, ne avrà 72… Una volta è venuto da me. È un grande confessore: c’è sempre la coda lì da lui… I preti, la maggioranza, vanno da lui a confessarsi… È un grande confessore. E una volta è venuto da me: “Ma Padre…”, “Dimmi”, “Io ho un po’ di scrupolo, perché io so che perdono troppo!”; “Prega… se tu perdoni troppo…”. E abbiamo parlato della misericordia. A un certo punto mi ha detto: “Sai, quando io sento che è forte questo scrupolo, vado in cappella, davanti al Tabernacolo, e Gli dico: Scusami, Tu hai la colpa, perché mi hai dato il cattivo esempio! E me ne vado tranquillo…”. È una bella preghiera di misericordia! Se uno nella confessione vive questo su di sé, nel proprio cuore, può anche donarlo agli altri. Il prete è chiamato a imparare questo, ad avere un cuore che si commuove».
Nessun indizio su chi fosse questo sacerdote. Soltanto un’indicazione sull’età, un po’ più giovane del Papa. Poche settimane dopo, l’11 maggio 2014, Francesco era tornato a parlarne nell’omelia della messa per le ordinazioni sacerdotali. «In nome di Cristo e della Chiesa, per l’amore di Gesù cristo, mai stancatevi di essere misericordiosi! Abbiate la capacità di perdono del Signore, che non è venuto a condannare ma a perdonare. Se viene in voi lo scrupolo di essere troppo “perdonatori” pensare a quel prete che diceva davanti al Tabernacolo: “Perdonami Signore se ho perdonato troppo ma tu mi hai dato il cattivo l’esempio!”. Io provo un grande dolore quando sento che la gente che non va al confessionale perché è stata sgridata, condannata. Per favore non fate questo! Misericordia… Misericordia e la porta della misericordia sono le piaghe del Signore».
Una nuova citazione dell’episodio era contenuta nel libro-intervista «Il nome di Dio è misericordia», pubblicato nel gennaio 2016. «Ricordo un altro grande confessore, più giovane di me, un padre cappuccino, che esercitava il suo ministero a Buenos Aires. Una volta venne a incontrarmi, voleva parlare. Mi disse: “Ti chiedo aiuto, ho sempre tanta gente davanti al confessionale, gente di ogni tipo, umile e meno umile, ma anche tanti preti… Io perdono molto e a volte mi viene uno scrupolo, lo scrupolo di aver perdonato troppo”. Abbiamo parlato della misericordia, e gli ho chiesto che cosa facesse quando provava quello scrupolo. Mi ha risposto così: “Vado nella nostra cappellina, davanti al tabernacolo e dico a Gesù: Signore, perdonami perché ho perdonato troppo. Ma sei stato tu a darmi il cattivo esempio!”. Questo non lo dimenticherò mai. Quando un sacerdote vive così la misericordia su se stesso, può donarla agli altri».
Il racconto nel libro-intervista dedicato al tema centrale del Giubileo straordinario aggiungeva un particolare: il prete confessore è un frate cappuccino. Un mese dopo l’uscita del libro, il 9 febbraio 2016, il Papa citava nuovamente l’episodio, questa volta rivolgendosi ai frati cappuccini, durante la messa in San Pietro, in presenza delle urne con i corpi di due grandi santi appartenenti a quella famiglia religiosa, entrambi grandi confessori: san Pio da Pietrelcina e san Leopoldo Mandic. «Ma voi Cappuccini – aveva detto Francesco – avete questo speciale dono del Signore: perdonare. Io vi chiedo: non stancatevi di perdonare! Penso a uno che ho conosciuto nell’altra diocesi, un uomo di governo, che poi, finito il suo tempo di governo come guardiano e provinciale, a settant’anni è stato inviato in un santuario a confessare. E quest’uomo aveva una coda di gente, tutti, tutti: preti, fedeli, ricchi, poveri, tutti! Un gran “perdonatore”. Sempre trovava il modo di perdonare, o almeno di lasciare in pace quell’anima con un abbraccio. E una volta andai a trovarlo e mi disse: “Senti, tu sei vescovo e puoi dirmelo: io credo che pecco perché perdono troppo, e mi viene questo scrupolo…” – “E perché?” – “Non so, ma sempre trovo come perdonare…” – “E cosa fai, quando ti senti cosi?” – “Vado in cappella, davanti al tabernacolo, e dico al Signore: Scusami, Signore, perdonami, credo che oggi ho perdonato troppo. Ma, Signore, sei stato Tu a darmi il cattivo esempio!”. Ecco. Siate uomini di perdono, di riconciliazione, di pace».
Questa volta, il Papa aveva aggiunto un altro particolare utile all’identificazione del cappuccino: confessava in un santuario. Francesco ne avrebbe parlato anche successivamente, ad esempio nella terza meditazione per il Giubileo dei sacerdoti, nella basilica di San Paolo fuori le Mura, il 2 giugno 2016: «Questo che dirò adesso l’ho detto tante volte, forse qualcuno di voi lo ha sentito. Ho conosciuto, a Buenos Aires, un frate cappuccino – vive ancora -, poco più giovane di me, che è un grande confessore. Davanti al confessionale ha sempre la fila, tanta gente – tutti: gente umile, gente benestante, preti, suore, una fila -, un susseguirsi di persone, tutto il giorno a confessare. E lui è un grande “perdonatore”. Sempre trova la strada per perdonare e per far fare un passo avanti. È un dono dello Spirito. Ma, a volte, gli viene lo scrupolo di aver perdonato troppo. E allora una volta parlando mi ha detto: “A volte ho questo scrupolo”. E io gli ho chiesto: “E cosa fai quando hai questo scrupolo?”. “Vado davanti al tabernacolo, guardo il Signore, e gli dico: Signore, perdonami, oggi ho perdonato molto. Ma che sia chiaro: la colpa è tua perché sei stato tu a darmi il cattivo esempio!”. Cioè la misericordia la migliorava con più misericordia».
Insomma, quando parla della confessione e dell’accoglienza dei penitenti, quando pensa alla misericordia in confessionale, Papa Bergoglio non può fare a meno di pensare a questo frate cappuccino, che ha sempre creduto essere più giovane di lui.
Quel pomeriggio di domenica 1° maggio 2016 abbiamo tentato di individuarlo, grazie a una preziosa indicazione aggiuntiva che avevamo ricevuto: il santuario nel quale l’allora cardinale Bergoglio aveva incontrato il confessore era quello della Madonna di Pompei, il santuario della Pompeya, una chiesa molto visitata, che sorge in un quartiere popolare della capitale argentina, confinante con una delle villas miserias, le baraccopoli più povere. Avevamo un luogo, il santuario. Avevamo un’indicazione sull’età: una decina d’anni più giovane di Francesco. Ma non un nome. E non sarebbe stato semplice entrare e chiedere a un qualsiasi frate: «Ci scusi, stiamo cercando il confessore che Papa Bergoglio cita sempre nelle sue omelie». Dopo aver varcato la Porta Santa della Pompeya, abbiamo notato due confessionali con la luce accesa. In quel momento, le quattro del pomeriggio, non c’erano celebrazioni e la chiesa, avvolta nella penombra, era semivuota. Poche persone pregavano in ginocchio o sedute. Una donna di mezz’età stava accendendo un cero, chiedendo chissà quale grazia.
Decidiamo di provare con il primo confessore. Uno di noi è entrato, l’altro è rimasto sulla soglia. Non volevamo confessarci, soltanto chiedere delle informazioni: ci siamo presentati e abbiamo chiesto al frate se per caso avesse sentito parlare di questo confessore citato così spesso dal Pontefice. Le risposte del cappuccino erano gentili ma piuttosto evasive. Forse troppo evasive. Un uomo alto, sorridente, senza la barba d’ordinanza. Il confessionale era ricoperto di pannelli chiari a forellini, fonoassorbenti. Un luogo piuttosto spoglio. Unica immagine presente alle spalle del confessore, un ritaglio di giornale con l’immagine del Padre misericordioso che abbraccia il Figliol Prodigo, un quadro di Rembrandt.
Il frate diceva: «Sì, ho sentito vagamente parlare di queste parole di Francesco, ma non so chi sia il cappuccino…». Nei suoi occhi si poteva però cogliere un’espressione quasi divertita. Soltanto un guizzo, nulla di più. Abbiamo capito che bisognava insistere. Abbiamo lasciato davanti a lui una copia del libro «Il nome di Dio è Misericordia», aprendo la pagina con la citazione del Papa. E visto che nessuno stava aspettando fuori dal confessionale, abbiamo continuato a fare domande sul «confessore del Papa», su quel confessore citato così tante volte come esempio da Bergoglio. Alla fine il frate ha ammesso: «Beh… sì… sono io quello di cui parla Francesco. Sono io che gli ho detto quella frase ripetuta davanti al Tabernacolo quando mi prende lo scrupolo di aver perdonato troppo…».
Finalmente il «confessore del Papa» ha un nome e un volto: padre Luis Dri, 89 anni. Non è più giovane, ma più vecchio di Bergoglio di quasi dieci anni. Francesco, rimasto colpito dalla sua vitalità, gli ha sempre attribuito due lustri di meno. Padre Dri quel primo maggio aveva accettato, dopo qualche riluttanza, di rilasciare una breve intervista video, pubblicata su La Stampa e Vatican Insider. La nostra curiosità non si era però fermata lì. Ci era rimasta la voglia di conoscere un po’ meglio questo semplice frate che passa le sue giornate inchiodato in confessionale, accogliendo sempre tutti con il sorriso, capace di far percepire a chiunque l’abbraccio di misericordia di Gesù. La sua non è stata una vita segnata da fatti eclatanti, da azioni clamorose, da chissà quali trovate pastorali. Eppure colpivano proprio la semplicità della sua vita quotidiana di prete e di dispensatore di misericordia. Una vita iniziata in una famiglia di poveri contadini, vissuta in letizia in ogni suo istante, nonostante le difficoltà. Proprio l’umiltà delle sue origini, ci diceva padre Dri, erano tra i motivi che lo rendevano attento e sensibile in confessionale, tutto proteso a comunicare la misericordia, a far sì che nessuno si sentisse escluso, non accolto, non voluto.
Insomma, ci è sembrato che valesse la pena far raccontare in prima persona, lasciando a lui la parola, la storia del confessore più citato da Papa Francesco.