Sulla possibile Visita di Papa Francesco al Popolo e alla Chiesa della Colombia, preannunciata extra ufficialmente per il primo trimestre 2017, si scrive molto e diversi prelati colombiani, politici ed esponenti della società civile, l’auspicano accoratamente e insistono nel dire: è comunque una Visita da dissociare dall’esito del referendum del 2 ottobre, consultazione popolare in cui la maggioranza del 40% che ha esercitato il suo diritto di voto ha rifiutato gli Accordi di pace tra il governo e l’ex guerriglia delle Farc, firmati il 26 settembre.
Fermo restando che è il Papa e solo lui che decide sulla questione, vale la pena ricordare che le precondizioni per una presenza di Francesco si sono complicate e ingarbugliate parecchio. Alla domanda “ci sarà una Visita del Pontefice?”, alla luce di quanto conosciamo pubblicamente c’è una sola risposta: dipende.
Da quando venne annunciato il raggiungimento di un Accordo definitivo tra il governo di Bogotá e le Farc, il 4 settembre, Papa Francesco ha sempre sottolineato una questione: deve essere un accordo “blindato” (parola usata da Francesco), e cioè veramente serio, definitivo e cristallino. Dalle parole del Papa si può dedurre, come opinione nostra naturalmente, che il Santo Padre ha sempre ritenuto che un tale accordo era e resta circondato da insidie, e quindi la sua blindatura significa in concreto: irreversibilità. E come si è visto dopo la firma del documento e poi dopo il referendum stesso del 2 ottobre scorso tale irreversibilità è instabile e precaria.
Il primo elemento di instabilità è conosciuto: il risultato del referendum. Il 40% del corpo elettorale tra “si” e “no” agli Accordi ha detto di “no” seppure con uno scarto di 60mila voti. L’incertezza e il disorientamento che si è impadronito del quadro politico e dell’opinione pubblica a seguito di questo verdetto non hanno condotto al peggio grazie ai nervi saldi del Presidente Santos e dei dirigenti dell’ex guerriglia. La reazione immediata delle due parti è stata: continueremo a cercare la pace e degli accordi irreversibili e nel frattempo il cessate il fuoco si conferma come una scelta definitiva. Ora si è tornato al negoziato, anzi, a due negoziati. A La Habana, in conformità con il risultato del referendum, il Presidente Manuel Santos, diventato nel frattempo Premio Nobel per la pace 2016, deve avviare una rinegoziazione con l’ex Farc. Al tempo stesso però deve negoziare con i leader del “no”, in particolare con Alvaro Uribe, al quale ha stretto la mano pochi giorni fa dopo sei anni di incomunicabilità totale. E’ l’ex Presidente Uribe dunque, politico da sempre convinto che solo la via militare può sconfiggere la lotta armata, la persona con la quale Santos dovrebbe tentare di capire cosa desiderano rinegoziare. Ora le parti non sono più due ma tre.
Gli osservatori ed esperti vicini a questo nuovo spinoso dossier, ritengono che le cose si possono complicare parecchio poiché si pensa che le richieste di Uribe, in buona misura, non saranno facili da accettare per l’ex guerriglia. Il rinegoziato si potrebbe protrarre a lungo e forse dovrà attraversare momenti molto delicati e critici. Non sembra che la questione si possa risolvere in un semestre. Da fuori, osservando e analizzando con attenzione quanto accade, non si vedono le condizioni minime per una visita del Papa in tempi ravvicinati. Stando alle parole di Papa Francesco, non sembra plausibile che lui possa mettere piede in un Paese senza guerra e senza pace, dove si negozia ancora.
Ad ogni modo non va mai dimenticato che Papa Francesco sa districarsi molto bene nelle situazioni apparentemente senza sbocco.