L’alpinista che raggiunge una cima dopo un cammino faticoso, quando osserva le valli e le cime intorno a lui, ha una conoscenza più grande delle dimensioni della terra in cui abita che l’uomo che resta nella valle che crede di conoscere già. Guardare con stupore e simpatia il mondo dall’alto delle montagne fa sì che tutti i particolari diventino interessanti, che nulla appaia ovvio, e che le cose conosciute e familiari ci mostrino la loro novità. Questo è ciò che ha fatto, a mio parere, il dottor Javier Maria Prades López, attualmente rettore dell’Università Ecclesiastica San Damaso di Madrid e membro della Commissione Teologica Internazionale, con l’esperienza della testimonianza nel suo ultimo libro edito dalla BAC (Biblioteca di autori cristiani), “Dare testimonianza. La presenza dei cristiani nella società plurale”. Ha mostrato i nuovi paesaggi che si aprono tra conoscenza-fede e ragione-testimonianza, anche se a prima vista non immagineremmo che possono essere armonicamente uniti.
L’autore ha una profonda formazione in teologia, filosofia e diritto. Ha studiato dapprima in Spagna durante gli anni della transizione democratica, cosa che gli ha lasciato un atteggiamento di dialogo insieme ad una esperienza e una formazione internazionale molto vasta. Il suo lavoro intellettuale non gli ha impedito di stare in stretto rapporto quotidiano con laici e giovani con cui ha condiviso domande e bisogni. Questo fa di lui un uomo, come suol dirsi, con i piedi per terra.
Il teologo madrileno è riuscito a separare il termine Testimonianza da un significato ridotto e legato unicamente al “buon esempio”, per collocarlo, soprattutto, nella vertigine che implica la fede come metodo di conoscenza affidabile per incontrare Dio. Con questa tesi l’autore, dal nostro mondo multiculturale e post-secolare segnato dall’“eclissi di Dio” come già lo aveva definito Martin Buber, ha cercato un dialogo leale con filosofi, teologi, scienziati e con il magistero della Chiesa di tutti i tempi.
Questo libro non è stato pensato per convincere, sebbene abbia un’architettura di una logica imponente, bensì per dialogare, specialmente con gli uomini del nostro tempo che vivono senza fede e che sono disposti a lasciarsi interrogare.
Il motivo della realizzazione di quest’opera, come lo stesso autore ha dichiarato parlando del libro in vari paesi dell’America Latina, è stato il desiderio di comprendere meglio se stesso e comprendere il tempo in cui viviamo.
Il Papa Francesco ha segnalato che “oggi non viviamo un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca”. Lo sconcerto, la paura e i dubbi, insieme ad altre piaghe che gli uomini e le donne della nostra società vivono quotidianamente, rendono necessario che l’“uomo intero” si interroghi e non concepisca già niente come scontato. Neppure noi credenti possiamo considerare come già sapute le parole che da sempre ci ha insegnato il cristianesimo, perché tante volte ormai ne ignoriamo il vero significato.
Come potranno vedere coloro che decidano di immergersi in quest’opera, l’autore non ha paura delle domande difficili, ma piuttosto ne ha bisogno e le stimola.
Un fatto accaduto in un tempo della storia e in uno spazio geografico ben definito, e testimoniato dalla Chiesa durante venti secoli: l’Incarnazione di Gesù Cristo, può essere fonte di verità e di conoscenza per un uomo colto del nostro tempo? La risposta che offre Prades mostra come la comprensione del mistero è resa possibile dall’irrompere di un fatto. La testimonianza allarga la ragione, provoca, attrae e può anche generare rifiuto in chi abbia un posizione già prestabilita. La testimonianza fa crescere la Chiesa, dato che obbliga soprattutto a pensare a Dio.
Quest’opera non si limita al dialogo con “quelli che stanno fuori”, ma si presenta piuttosto come una gran provocazione per affrontare la sfida che la Chiesa vive oggi: trasmettere la fede alle nuove generazioni. Come diceva Sant’Ambrogio, “Non piacque a Dio di operare la salvezza del suo popolo mediante la dialettica”.
La testimonianza ha un valore centrale per la fede e suscita anche domande per il credente. Come ha lasciato scritto Benedetto XVI, “perché, Signore, ti sei mostrato solo a un piccolo gruppo di discepoli della cui testimonianza noi dobbiamo ora fidarci?” Nella trasmissione della fede le domande dell’uomo religioso non possono essere retoriche, ma reali e vive per comprendere meglio la missione educativa che ha la Chiesa.
Nell’epoca di Twitter e dei messaggi brevi, il religioso madrileno ci offre un libro denso di 462 pagine in cui le parole sono misurate con molta precisione. Vi si insegna, non senza un gran impegno, a pensare con rigore e attenzione per non perdere la sua ricchezza.
Quest’opera è come le fondamenta di una casa che si progettano perché essa duri mille anni, richiede molto studio; ma non quello che ci porta a un pensiero disincarnato e astratto, ma piuttosto, al contrario, quello che asseconda il desiderio di poter comprendere il presente.
Traduzione dallo spagnolo di Francesca Casaliggi