A causa della vasta estensione territoriale del Brasile, la Chiesa deve affrontare una sfida enorme. Si stima che circa 70.000 comunità del Paese non celebrino l’Eucaristia in modo regolare. Un esempio famoso è la diocesi di Xingu (nello Stato del Pará), la più grande del mondo, il cui territorio è equivalente a quello della Germania, e dove 800 comunità sono servite da appena 27 sacerdoti. A causa della scarsità di sacerdoti, il 70 per cento di queste comunità può partecipare solo tre o quattro volte l’anno alla celebrazione eucaristica.
Da qualche tempo, in Brasile, sono in corso discussioni sulle possibili soluzioni a questo problema. Nel 2014, addirittura, si disse che Papa Francesco fosse al corrente della situazione e avesse chiesto “soluzioni coraggiose e concrete.” Questo è stato inteso da chi si occupa direttamente della questione circa la volontà del Papa di aiutare a risolvere il problema. Se non con soluzioni universali, almeno con soluzioni specifiche per alcune regioni. Tra alcune delle proposte emerse allora, una prese forma con più forza: quella dei ministri ordinati locali.
Uno dei responsabili di questa proposta è il sacerdote e teologo brasiliano Mons. Antonio José de Almeida, professore presso la Pontificia Università Cattolica del Paranà. Dottore in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, Mons. José si occupa del tema dei ministeri nella Chiesa a servizio della vita e della missione delle comunità, e conosce da vicino molte esperienze di ministeri non ordinati in America Latina.
Alla fine di aprile di quest’anno, in occasione del 16° Incontro Nazionale dei Presbiteri, promosso dalla Commissione Nazionale dei Presbiteri e dalla Commissione per i Ministeri Ordinati e la Vita Consacrata, Mons. Almeida ha pubblicato l’articolo “Presbiteri Comunitari per le Comunità senza l’Eucaristia”, in cui si presentano alcune idee in via di maturazione. La proposta, avanzata da Mons. Almeida, e ispirata alle idee di Mons. Fritz Lobinger, che è stato quasi 50 anni in Sud Africa, è “ordinare leader, celibi o sposati, profondamente radicati nelle comunità ecclesiali mature. Le comunità ecclesiali mature sono quelle che posseggono una storia di cammino ecclesiale e vita comunitaria, con ministri non ordinati nell’ambito della parola, del culto e della carità, che sono accompagnate da sacerdoti dedicati alla loro cura, e che partecipano a un processo di formazione continua, in comunione con la chiesa locale “.
Mons. Almeida propone nomi diversi per questi due tipi di ordinazioni: sacerdoti e ministri ordinati locali. I sacerdoti continuerebbero a essere celibi e verrebbero mandati nelle parrocchie della diocesi, mentre i ministri ordinati locali servirebbero solamente la comunità in cui vivono e potrebbero essere inseriti nella vita familiare e professionale. Qualora non avessero un lavoro, o se lo avessero perso, i ministri ordinati locali potrebbero essere aiutati e sostenuti dalla comunità nello stesso modo con cui già si sostengono alcuni sacerdoti. “Entrambi sono presbiteri dello stesso sacramento dell’ordine; entrambi annunciano il Vangelo in nome della Chiesa; entrambi amministrano i sacramenti; entrambi guidano la comunità con e sotto il Vescovo; entrambi sono ordinati per tutta la vita”, recita la proposta. Ma mentre “i sacerdoti servono una vasta area e vivono in una circoscrizione pastorale più ampia, i “ministri ordinati locali” vivono all’interno della loro comunità.
Così, i ministri ordinati locali sarebbero scelti direttamente dalla loro comunità e non sarebbe solo uno, ma un piccolo gruppo di due o tre. Inoltre, il servizio per la comunità sarebbe part-time. “Il modello non è la grande parrocchia, territoriale, anonima, totalmente centralizzata nel parroco, dove tutto dipende da lui”. Essi dovranno rispettare i seguenti criteri: essere uomini di comprovata fede e virtu’, competenti e rispettati all’interno di una particolare comunità.
Secondo Mons. Almeida “ordinare alcuni dei leader laici che guidano le comunità è la decisione più giusta, perché l’obiettivo è dotare una precisa comunità di un presbitero proprio, a partire da ciò che già esiste in quella comunità. Garantendo il rapporto ministro-comunità. Non è un estraneo che viene da fuori, ma dall’interno. Non c’è bisogno di inserirlo, “inculturarlo”, poiché fa già parte della comunità e della sua storia, ha il suo viso, il suo modo di essere”.
Pertanto, l’articolo afferma che non solo parla di “viri probati” – uomini sposati che potranno essere ordinati al sacerdozio – ma anche di “communitates probatae ” dove l’accento è posto sulla comunità. “Sarebbe tragico se la Chiesa ordinasse “viri probati” senza un forte senso di comunità.”
Le idee presentate in questo articolo ancora trovano forte resistenza all’interno della Chiesa brasiliana. Anche se il problema viene percepito e condiviso, le soluzioni presentate non trovano molto consenso. C’è una grande obiezione circa l’idea dei “viri probati“. Molti credono che sia l’inizio della fine del celibato. Altri credono che la proposta in sé discrimini i “viri probati“, dal momento che, secondo loro, ci sarebbero due categorie di sacerdoti, di prima e di seconda classe.
Per Mons. Erwin Kräutler, Vescovo emerito di Xingu “in primo piano non c’è la discussione sul celibato, bensì le comunità impossibilitate a celebrare l’Eucaristia domenicale.” E Mons. Almeida aggiunge: “tra i presbiteri le differenze ci sono sempre state e sempre ci saranno. La Chiesa dovrà imparare a gestire queste situazioni, così come ha imparato a trattare altre situazioni nel corso della storia “
In ogni caso, una commissione per riflettere sulla questione è stata autorizzata dalla CNBB ed è composta da Mons. Raymundo Damacesno, Arcivescovo di Aparecida, Mons. Claudio Hummes, Arcivescovo emerito di San Paolo, Mons. Walmor de Oliveira, Arcivescovo di Belo Horizonte e Mons. Sergio Castriani, Arcivescovo di Manaus. Già si sono svolte alcune riunioni, ma ancora senza alcun progresso significativo.
Traduzione dal portoghese di Veronica Campogiani