Nell’ormai corposo magistero di Papa Francesco non si trovano molte riflessioni sulla “politica” o, almeno, non sembrano essere così frequenti quanto invece sono quelle su “economia” e “finanza”. Il trittico classico si presenta sbilanciato per difetto sul lato della politica, seppure alcuni critici del pontificato abbiano provato ad amplificare un’accusa singolare: Francesco è un Papa politico e spesso fa politica. Non vogliamo però occuparci di queste osservazioni poiché sono, fra le critiche indirizzate al Papa, quelle più inconsistenti, banali e superficiali. Ci interessa un’altra cosa: una possibile e plausibile risposta sul perché Francesco è stato così cauto e misurato quando ha affrontato il tema della politica.
Jorge Mario Bergoglio e la riabilitazione della politica. Proponiamo un’ipotesi di lavoro, una lettura possibile del magistero episcopale e pontificio di Papa Francesco. Dal pensiero del Santo Padre – dai tempi del suo servizio alla guida dell’arcidiocesi di Buenos Aires ma anche molto prima – si evince che Papa Bergoglio ha sempre nutrito un grande e appassionato interesse per la politica alla quale, sulle orme di Papa Paolo VI, ha sempre attribuito la massima rilevanza, in particolare alla missione e al ruolo dei laici cattolici in politica (1). Proprio per questo Papa Francesco ha sempre rispettato con scrupolo la distanza necessaria dalla politica, ritenendo che quella odierna (di ieri e di oggi) è piuttosto un riflesso deformato dell’originale. Il 2 giugno 2004 nell’apertura del “Ciclo di Formación y Reflexión Política” organizzato dalla pastorale sociale dell’arcidiocesi di Buenos Aires, presso l’Istituto di Cultura religiosa superiore, il cardinale Bergoglio chiamò a “riabilitare la politica” e dunque a superare il paradosso “del discredito della politica e dei politici nel momento in cui si ha più bisogno di loro”. “La politica – ricordò l’allora arcivescovo di Buenos Aires – è un’attività nobile. Perciò va rivalorizzata esercitandola con una vocazione e una dedizione che esige la testimonianza, il martirio, ovvero, morire per il bene comune” (2). È questa visione del bene comune, missione suprema dei politici, che a giudizio del cardinale Bergoglio rende molto grave le insufficienze e le carenze della politica, che certamente non è l’unica attività colpita dalla corruzione; corruzione che altre “associazioni e corporazioni hanno la possibilità di dissimulare”. Alla fine però, per gli uni e per gli altri, si tratta sempre di “una condotta peccaminosa”.
La diagnosi dell’allora porporato si fa ancora più precisa con queste riflessioni: “L’unità politica registra una diminuzione delle sue capacità e i governi sembrano ostaggio di forze che non controllano. Il campo di movimento di un politico si restringe poiché le decisioni le prendono intermediari internazionali. I centri di decisione si trovano altrove.” L’azione politica non si limita al “canto dell’inno nazionale”, aggiungeva l’arcivescovo Bergoglio che sottolineava: la politica e i politici devono dimostrare “una grande abilità nel muoversi creando cammini di viabilità. Il politico deve essere creativo e passare dall’equilibrio pragmatico alla creatività feconda. Il politico è fondamentalmente un artefice. E’, dovrebbe essere, come il poeta: 10% d’ispirazione e 90% di traspirazione”. Il cardinale J.M. Bergoglio precisava ancora su un certo modo di fare politica: esiste una sorta di “scivolamento dalla dimensione intellettuale attiva verso l’estetismo. Non si discutono piattaforme (programmatiche) e si eludono i temi caldi. Si cerca l’immagine. Al posto di usare la potente arma della persuasione si usa la seduzione. Si seduce per conquistare voti (…), ma una guida senza persuasione è sterile”. La consapevolezza di questi dinamismi, oggi mancanti o gravemente insufficienti, consentirebbe, secondo J. M. Bergoglio, di distinguere con precisione “la politicizzazione dalla cultura politica”, due dimensioni ben diverse. A suo avviso oggi “la politica non occupa un luogo privilegiato nelle gerarchie del cuore umano. Anzi, siamo politicanti per decadenza” e dunque manca “una politica della costruzione (…) per addentrarsi oltre le frontiere” affinché “il politico intuisca con il suo cuore che la realtà si vede meglio dall’ultimo luogo conquistato e non dal centro”.
Le cinque strade. A questo punto, nelle sue riflessioni sulla politica e i suoi attori, il cardinale Jorge Mario Bergoglio, con lo sguardo sul futuro e nella speranza di una “riabilitazione” di una così importante attività umana, prospetta alcune strade per “ri-gerarchizzare” la politica:
1) La prima strada sarebbe un movimento che permetta di passare dal “nominalismo formale all’obiettività della parola”. La “stanchezza del nominalismo dovrebbe lasciare posto alla massima mobilità creativa”.
2) Occorre poi, in secondo luogo, “superar lo sradicamento dalle radici costitutive” contrastando “l’affanno di autonomia, ereditato dalla modernità, per cancellare l’abbandono” dello sradicamento. Viviamo una crisi di sradicamento e quindi occorre transitare sul cammino della memoria che indica l’appartenenza” (…) e ci insegna che “ricordare il passato serve per andare verso il futuro”.
3) La terza strada sottolineata dall’allora cardinale Bergoglio dovrebbe portare ad “uscire dai rifugi culturali e raggiungere la trascendenza”, rifugi stretti, lasciando da parte i “sentieri del ritorno che in politica sono suicidi”. “Non si deve confondere mai la nostalgia con il rimpianto che ci rende passivi e ci impedisce il recupero delle cose buone del passato per progettarlo in avanti”.
4) Il quarto sentiero secondo J.M. Bergoglio consiste in “transitare da ciò che è occulto verso una vera signoria sul potere. La vocazione della politica esige ungersi da questa signoria per evitare il caos e il formalismo di cartapesta. E questa signoria è un cammino ascetico verso la saggezza”.
5) Infine, c’è un sentiero ineludibile se si vuole riabilitare e re-gerarchizzare l’attività politica: “passare dal sincretismo conciliatore alla pluriformità dei valori; dalla purezza nichilista alla capacità che permette di afferrare il limite dei processi”. Solo in questo modo si può superare “la politica del collage, molto tipica dei demagoghi (…) ricorrente nella legislazione nella giustizia”, evitando “la frode dei valori” che costringe a vivere “nella tristezza del non-essere al posto di vivere nell’allegria dell’essere”.
La politica tra valore e anti-valore. Il 30 giugno 2001, il cardinale Bergoglio, che come è stato ricordato in relazione al suo magistero pontificio “interpreta l’economia finanziaria come dominatrice del mondo e la stessa politica assoggettata a essa, però non insulta mai quest’ultima” (M. Faggioli), nel corso della “IV Jornada Arquidiocesana de Pastoral Social (Colegio Sagrado Corazón, Almagro), sottolineava che la “politica è una vocazione quasi sacra perché tesa alla crescita del bene comune” e quindi deve essere sempre “trasversale” poiché “senza questa trasversalità non c’è dialogo”. “Senza confronto di idee per cercare il bene comune ci paralizziamo” l’uno con l’altro” e perciò, secondo J. M. Bergoglio, occorre tenere presente questo percorso, l’unico capace di “ri-orientare la politica su sentieri di creatività”. Nessuno dovrebbe concepire la politica solo come un “metodo per gestire le crisi”, cosa utile e necessaria che però non esaurisce la sua vocazione ultima e autentica. “Il politico non è solo un pompiere. La sua missione è creare, fecondare”, e quindi, essere capace di “unire la politica alla dimensione sociale” dando alle istituzioni statali il loro vero ruolo: “animare, integrare, proteggere e sorvegliare il bene comune della nazione”. La promozione umana e sociale per J. M. Bergoglio è una responsabilità di tutti e “privatizzate la promozione e l’assistenza sociali è anti-umano”. La chiave di ogni azione politico-sociale, dimensioni inseparabili, “è sempre l’essere umano, la nostra umanità, il valore vero. L’anti-valore invece è la merce umana, ovvero il mercantilismo delle persone”, vittime di progetti imposti dall’esterno alla nostra umanità, che alla fine trasformano “la persona umana in merce del sistema politico-economico-sociale”, e ciò spesso accade con i più deboli, argomentava il cardinale Bergoglio: “i bambini e gli anziani”.
***
Note
(Tutte le note sono citazioni di risposte che Papa Francesco ha dato ai giovani delle Comunità di Vita Cristiana (CVX) e delle Lega Missionaria Studenti d’Italia in occasione dell’incontro del 30 aprile 2015).
(1) “Ma un cattolico può fare politica?” – “Deve!” – “Ma un cattolico può immischiarsi in politica?” – “Deve!”. Il beato Paolo VI, se non sbaglio, ha detto che la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune. Sui laici cattolici: Nella Chiesa ci sono tanti cattolici che hanno fatto una politica non sporca, buona; anche che hanno favorito la pace tra le Nazioni. Pensate ai cattolici qui, in Italia, del dopoguerra: pensate a De Gasperi. Pensate alla Francia: Schumann, che ha la causa di beatificazione. Si può diventare santo facendo politica. E non voglio nominarne più: valgono due esempi, di quelli che vogliono andare avanti nel bene comune.
(2) Un pensiero, questo della politica del martirio, che è rimasto immutato in Bergoglio, rispondendo ai giovani lo scorso aprile ha infatti detto: “Cosa vuoi dirmi, che fare politica è un po’ martiriale? Sì. Sì: è una sorta di martirio. Ma è un martirio quotidiano: cercare il bene comune senza lasciarti corrompere. Cercare il bene comune pensando le strade più utili per questo, i mezzi più utili” (…) Fare politica è martiriale: davvero un lavoro martiriale, perché bisogna andare tutto il giorno con quell’ideale, tutti i giorni, con quell’ideale di costruire il bene comune. E anche portare la croce di tanti fallimenti, e anche portare la croce di tanti peccati. Perché nel mondo è difficile fare il bene in mezzo alla società senza sporcarsi un poco le mani o il cuore; ma per questo vai a chiedere perdono, chiedi perdono e continua a farlo. Ma che questo non ti scoraggi. “No, Padre, io non faccio politica perché non voglio peccare” – “Ma non fai il bene! Vai avanti, chiedi al Signore che ti aiuti a non peccare, ma se ti sporchi le mani, chiedi perdono e vai avanti!”. Ma fare, fare! (…)
Il Papa riprende poi un’immagine divenuta famosa, già utilizzata con i giovani universitari di Roma nel corso dell’omelia della I domenica d’Avvento, il 30 novembre 2013: “Io cattolico guardo dal balcone? Non si può guardare dal balcone! Immischiati lì! Da’ il meglio di te. Se il Signore ti chiama a quella vocazione, va’ lì, fai politica. Ti farà soffrire, forse ti farà peccare, ma il Signore è con te. Chiedi perdono e vai avanti. Ma non lasciamo che questa cultura dello scarto ci scarti tutti! Scarta anche il creato, perché il creato ogni giorno viene distrutto di più. Non dimenticare quella parola del beato Paolo VI: la politica è una delle forme più alte della carità”. Per quanto riguarda invece l’ipotesi di un partito cattolico, che sia cioè composto di soli cattolici, il papa sostiene: “(…) ma si sente dire: “Noi dobbiamo fondare un partito cattolico!”. Questa non è la strada. La Chiesa è la comunità dei cristiani che adora il Padre, va sulla strada del Figlio e riceve il dono dello Spirito Santo. Non è un partito politico. “No, non diciamo partito, ma… un partito solo dei cattolici”. Non serve, e non avrà capacità di coinvolgere, perché farà quello per cui non è stato chiamato”.