Un’ammirazione poetica. Il Papa, si sa, è un lettore raffinato. Conosce bene i grandi della letteratura latinoamericana. E, tra essi, ha un entusiasmo speciale per il messicano Octavio Paz. Negli ultimi mesi lo ha citato in tre occasioni, non solo in discorsi ma anche nella sua esortazione apostolica “La gioia dell’amore”. La sua conoscenza non è casuale. Bergoglio imparò a gustare il Premio Nobel grazie a un altro dei suoi punti di riferimento intellettuali, il filosofo uruguaiano Alberto Methol Ferré.
Illustre esponente del pensiero elaborato sulle sponde del Rio de la Plata, Methol ha diretto per anni la rivista Nexo. Grazie alle sue costanti ricerche letterarie, nei primi anni ‘80 scoprì la poesia “Hermandad” (Fratellanza) di Paz. Rimase talmente affascinato da quei versi che chiese a un suo amico, messicano, di cercare e intervistare l’autore. L’amico era né più né meno che l’illustre giornalista e politico Carlos Castillo Peraza. L’intervista fu inclusa nel numero 5 della pubblicazione, corrispondente al primo semestre del 1985, con il titolo: “Octavio Paz: Qualcuno mi decifra”. In quell’epoca Jorge Mario Bergoglio già seguiva quasi ossessivamente tutto ciò che il pensatore uruguaiano produceva e riceveva puntualmente le sue riviste. Anche lui fu sedotto da quella poesia, tanto che ha deciso di citarla testualmente nel saluto di congedo durante il suo viaggio in Messico, lo scorso 17 di febbraio nell’aeroporto di Ciudad Juárez.
“Sono uomo: duro poco ed enorme è la notte. / Ma guardo in alto: le stelle scrivono. / Senza capire comprendo: anch’io sono scrittura / e in questo stesso istante qualcuno mi sta decifrando”. Il Papa non solo ha letto questi versi, ma ne ha anche dato una peculiare interpretazione e la ha applicata al suo viaggio messicano.
“Usando queste belle parole, oso suggerire che quello che ci decifra e ci traccia la via è la presenza misteriosa ma reale di Dio nella carne concreta di tutte le persone, specialmente le più povere e bisognose del Messico. La notte ci può sembrare enorme e molto scura, ma in questi giorni ho potuto constatare che in questo popolo esistono tante luci che annunciano speranza; ho potuto vedere in molte delle vostre testimonianze, nei vostri volti, la presenza di Dio che continua a camminare in questa terra guidandovi e sostenendo la speranza; molti uomini e donne, con il loro sforzo di ogni giorno, rendono possibile che questa società messicana non rimanga al buio”, ha proclamato.
Con questa esegesi, è parso che Francesco accompagnasse la profonda ricerca interiore di Paz che, sebbene si classificasse come un “pagano”, in realtà scoprì nella sua propria opera una reminiscenza spirituale e cristiana implicita. Qualcosa che si trova riflesso nella sua intervista a Castillo Peraza. In quel testo, il poeta confessò che quando scrisse la frase “qualcuno mi sta decifrando” non sapeva esattamente cosa voleva dire e, allo stesso tempo, mise a nudo alcuni dubbi esistenziali.
“Se mi rileggo, come un lettore qualsiasi, mi dico: una delle due, o questo qualcuno è un altro come me o questo qualcuno si trova oltre gli uomini. Una volta ho creduto che in Oriente, nel buddismo, avrei trovato una risposta, il nome o un presagio del nome di questo qualcuno. Ma ho scoperto che dall’Oriente mi separa qualcosa di più profondo di quello che mi separa dal cristianesimo: non credo nella reincarnazione. Credo che qui ci giochiamo tutto, non ci sono altre vite. Nonostante ciò, in Oriente ho scoperto una ‘vacuità’ che non è il nulla e che mi fa pensare all’Uno di Plotino, una realtà che sta prima dell’essere e del non essere. Forse questo Uno può essere quello che mi decifra. Ma di lui non possiamo dire nulla…”, concluse.
Parole che sicuramente stimolarono la immaginazione di un Bergoglio amante della cultura popolare sudamericana. Tanto che ha citato questa poesia nel suo saluto di congedo messicano. Ma non è stata la unica volta in cui ha menzionato lo scrittore durante la sua permanenza nel paese, lo ha fatto anche nel suo ormai famoso discorso ai vescovi nella cattedrale metropolitana, la mattina del sabato 13 febbraio. In tale occasione non lo ha nominato, solo ha fatto riferimento a “un inquieto e illustre scrittore di questa terra”. Ha parlato del “destino incompiuto del Messico” e dell’importanza della Vergine di Guadalupe, riferendosi al saggio “Labirinto della Solitudine” sull’identità messicana. Uno scritto, d’altra parte, cui si faceva riferimento nell’intervista alla rivista Nexo.
Parafrasando Paz, Francesco ha precisato che “a Guadalupe non si chiede l’abbondanza dei raccolti o la fertilità della terra, bensì si cerca un grembo in cui gli uomini, sempre orfani e diseredati, vanno cercando una protezione, una casa”.
Un altro grande saggio dello scrittore messicano, che fu anche diplomatico, è stato oggetto di attenzione particolare da parte del pontefice. Nella sua esortazione apostolica “Amoris Laetitia”, sull’amore e la famiglia, ha incluso una frase di “La fiamma doppia”. Lo ha fatto nel capitolo quattro, intitolato “L’amore nel matrimonio”. Descrivendo le caratteristiche dell’amore ha ricordato che, per Paz, la cortesia “è una scuola di sensibilità e disinteresse”, che esige dalla persona che “coltivi la sua mente e i suoi sensi, che impari ad ascoltare, a parlare e in certi momenti a tacere”. Tutto questo per ricordare che “l’amore non opera in maniera rude, non agisce in modo scortese, non è duro nel tratto. I suoi modi, le sue parole, i suoi gesti, sono gradevoli e non aspri o rigidi. Detesta far soffrire gli altri”.
Traduzione dallo spagnolo di Francesca Casaliggi