Biografi, giornalisti e amici sono concordi nel dire: Jorge Mario Bergoglio è stato sempre, da giovanissimo, un grande camminatore. “Per lui camminare non era solo un esercizio fisico. Era, e penso che sia così anche oggi, soprattutto un esercizio dello spirito”, ci dice una scrittrice argentina che conosce da tempo padre Jorge Mario. E’ vero: quanto ha camminato nella sua vita Papa Francesco!, anche quando gli anni e la sua cagionevole salute di ferro non sempre lo ha accompagnato. “Rifiutava la macchina non solo per una questione di stile di vita, ma anche perché senza l’automobile, dovendo far uso del tram, della metropolitana e di altri servizi pubblici si consentiva due cose per lui essenziali, direi indispensabili: camminare (nella vita) ed incontrare (persone di carne ed ossa)”, aggiunge la scrittrice.
Il camminare in Jorge Mario Bergoglio è un perenne motto autobiografico, una fuga in avanti e indietro, per trarre dalla propria vita la forza necessaria per continuare il cammino. Con ogni probabilità Papa Francesco così immagina anche la strada della Chiesa alla ricerca dell’essere immagine e somiglianza del suo Maestro. Sicuramente è convinto che questa Chiesa, seduta, rinchiusa, isolata, timorosa, comoda, garantita è sempre più lontana da Gesù, che passò la sua breve vita tra noi camminando e camminando. Ce lo raccontano i Vangeli.
“Raro cade chi ben cammina” (Leonardo Da Vinci, Codice Atlantico). Vi sono molte chiavi possibili per leggere questi tre anni del pontificato di Francesco. La migliore, perché calzante, efficace e vera, è la metafora del camminare, del movimento, del non stare mai fermo contenuta in modo visibile e ricorrente nelle prime parole del nuovo Papa eletto il 13 marzo 2013. Un’ora dopo la sua elezione, Papa Francesco disse dalla Loggia della Basilica: “E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi.” Prima di congedarsi aggiunse: “Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo, sia fruttuoso per l’evangelizzazione”.
Il giorno dopo la sua elezione, Jorge Mario Bergoglio, ormai per tutti “Papa Francesco”, disse ai cardinali nella Cappella Sistina: “Camminare: la nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo, la cosa non va. Camminare sempre, in presenza del Signore, alla luce del Signore, cercando di vivere con quella irreprensibilità che Dio chiedeva ad Abramo, nella sua promessa”. Poi aggiunse altri due parole che sono sostanziali in questa metafora della sua vita e ministero sacerdotale, per leggere questi tre anni: edificare e confessare. Edificare con pietre vive, con le persone (“…pietre unte dallo Spirito Santo. Edificare la Chiesa, la Sposa di Cristo, su quella pietra angolare che è lo stesso Signore. Ecco un altro movimento della nostra vita: edificare”). Si cammina dunque per incontrare pietre vive e per edificare la Chiesa. E poi confessare. Cosa? Gesù. (“…confessare. Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si cammina, ci si ferma”). Se non confessiamo Gesù confessiamo la mondanità, cioè, l’opposto a Gesù. “Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore.”
“Ho parlato più di una volta con mons. Bergoglio sul significato e sull’importanza del camminare”, ci confessa in una mail un ex allievo di Francesco e poi osserva: “Non voglio mettere parole testuali in bocca al Papa. Voglio ricordare soltanto quanto mi è sembrato di capire delle sue riflessioni. Non è un caso che nelle grandi tradizioni e confessioni religiose camminare sia fondamentale. Si cammina come singolo, ma anche come popolo. La Bibbia, per esempio, è piena di racconti di masse e persone che camminano. Si cammina per guardare in avanti, l’orizzonte, la terra promessa e si cammina anche per guardarsi alle spalle, il passato, il tempo che fu. Camminare è l’atto più liberatorio che un essere umano può compiere. Camminare non è armonia. E’ squilibrio. Non è comodità e sicurezza. E’ sacrificio e inquietudine. Camminare è ricerca, insoddisfazione, speranza. Cammina solo chi cerca se stesso perché cerca l’altro; cammina chi vuole pienezza dell’amare se stesso raggiungendo la pienezza dell’amore verso l’altro”.
E poi, camminare è sempre una sorpresa e quante volte Francesco ci ha parlato della sorpresa: “Dio sempre stupisce. Dio riserva sempre il meglio per noi, ma chiede che noi ci lasciamo sorprendere dal suo amore, che accogliamo le sue sorprese. Fidiamoci di Dio! Lontano da Lui il vino della gioia, il vino della speranza, si esaurisce. Se ci avviciniamo a Lui, se rimaniamo con Lui, ciò che sembra acqua fredda, ciò che è difficoltà, ciò che è peccato, si trasforma in vino nuovo di amicizia con Lui”.
Ormai sono passati tre anni dalla sera che abbiamo appreso con grande sorpresa che il Conclave aveva eletto come nuovo Successore di Pietro il cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio. Sono stati anni di movimento e di sorpresa e lui per primo ha tenuto fede alla sua esortazione: “Aiutatemi a smuovere le acque” (Ayúdenme a hacer líos).
In quest’espressione, semplice e di uso ordinario, senza grande pretese accademiche, c’è molto del pontificato di Francesco e si tratta al tempo stesso di un’esortazione e di un monito. Il Santo Padre, come l’ha detto a più riprese usando altre metafore e parole (chiesa in uscita, meglio una chiesa incidentata che una chiesa polverosa, rinchiusa nelle sagrestie), sembra ritenere un grande rischio che la comunità ecclesiale, la Chiesa, rimanga immobile, indifferente, sulla difensiva, protetta da molteplici sicurezze, e perciò lontana dall’uomo e dal mondo. Il Papa forse considera che il peggio che può accadere alla Chiesa è non prendere coscienza delle sfide che ha davanti a se e che non percepisca che il mondo ha bisogno del suo messaggio e delle sue opere. Teme, probabilmente, il non-dialogo, l’incomunicabilità tra mondo e chiesa. Ecco dunque il suo invito ministeriale: non stare mai fermi, camminare sempre, senza sosta. E per camminare non c’è di meglio che imboccare il sentiero delle periferie dove c’è sempre qualcuno che ci aspetta.