I recenti attentati terroristici che hanno sconvolto il mondo, da Parigi a Bamako (senza dimenticare Beirut e il Sinai), hanno nuovamente richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sui pericoli connessi alla diffusione dell’islamismo radicale, suscitando analisi di respiro più o meno ampio sul grado di integrazione sociale delle comunità islamiche presenti nei Paesi occidentali. Sotto questo profilo, l’attenzione prestata dai mass media alla realtà dell’Islam nel contesto latinoamericano è stata pressoché nulla. Un dato, questo, che sorprende fino a un certo punto, se si tiene conto che i musulmani – secondo le più recenti stime – rappresentano meno dell’1 % dell’intera popolazione dell’America Latina. Al riguardo il filosofo uruguayano Alberto Methol Ferré, nel libro-intervista «L’America Latina del XXI secolo» (pubblicato per la prima volta nel 2006 e ripubblicato nel 2013 col titolo «Il papa e il filosofo»), ha affermato che «l’America Latina manca di esperienza dell’Islam», in quanto essa, «per la sua connessione con l’oceano Pacifico, è molto più sensibile alla presenza dell’elemento umano proveniente dall’Estremo Oriente che ad una presenza del mondo musulmano in quanto tale». A parziale conferma di questo giudizio va sottolineato che anche da un punto di vista prettamente scientifico e accademico l’islam latinoamericano è un tema molto poco studiato. Tra le poche eccezioni si può segnalare la recente uscita (settembre 2015) di una raccolta di studi pubblicata dalla University of Texas Press con il titolo «Crescent over Another Horizon. Islam in Latin America, Caribbean and Latino USA», frutto di una ricerca pluriennale condotta principalmente dal Kimberly Green Latin American and Caribbean Center della Florida International University.
Se da un lato le percentuali della presenza islamica in America Latina non hanno nulla a che vedere con quelle di Paesi europei come la Francia, il Belgio e in misura minore l’Italia, dall’altro lato la dimensione sempre più transnazionale del fondamentalismo islamico suggerisce di non trascurare contesti geopolitici che possono sembrare periferici, ma sono in realtà tutt’altro che irrilevanti ai fini di una comprensione più ampia e approfondita del fenomeno. Vale la pena di ricordare, in proposito, che prima dell’attacco al World Trade Center e al Pentagono dell’11 settembre 2001, due tra i più grandi attentati terroristici di matrice islamica hanno avuto come teatro la capitale argentina, Buenos Aires, dove l’ambasciata israeliana e l’AMIA (Associazione Mutualità Israelita Argentina), rispettivamente il 17 marzo 1992 e il 18 luglio 1994, sono state il bersaglio di esplosioni che hanno lasciato sul terreno complessivamente oltre 100 morti e più di 450 feriti. Si tratta di precedenti significativi, che gli analisti dei servizi d’intelligence occidentali – in particolare statunitensi – non mancano di menzionare nei dossier che periodicamente fotografano la situazione del terrorismo a livello globale. Non a caso, normalmente sono proprio questi documenti (ultimi in ordine di tempo i «Country Reports on Terrorism 2014» pubblicati dal Bureau of Counterterrorism statunitense nel giugno del 2015) i primi a figurare come risultati digitando le parole «Islam» e «America Latina» in un qualsiasi motore di ricerca.
Sarebbe tuttavia riduttivo considerare il mosaico dell’islam latinoamericano esclusivamente sotto il filtro della potenziale minaccia jihadista. Non fosse altro per il fatto che la presenza islamica nel continente data da ben prima dell’arrivo di gruppi fondamentalisti come Hezbollah – tra i più radicati e attivi in Sudamerica – e Al Qaeda. Sempre Methol Ferré ha autorevolmente ricordato come la stessa scoperta dell’America, in fondo, sia stata una conseguenza dell’«assedio musulmano all’Europa», che alla fine del XV secolo spinse i regni iberici del Portogallo e della Castiglia a cercare nuove rotte per il commercio delle spezie. È ancora oggetto di dibattito, tuttavia, se i primi musulmani a mettere piede nel Nuovo mondo siano stati dei moriscos spagnoli giunti insieme ai conquistadores, o addirittura dei navigatori africani protagonisti di traversate dell’oceano Atlantico tra l’XI e il XII secolo. Quel che è certo è che la presenza dell’islam in America Latina diventa un elemento costante con la tratta degli schiavi, che con le navi olandesi, francesi e britanniche porta decine di migliaia di musulmani africani a popolare le piantagioni e le miniere degli imperi coloniali. Nel contesto della schiavitù si collocano alcune importanti rivolte musulmane, come quella di Haiti del 1758 o quella di Salvador (Bahia) in Brasile, dove nella notte tra il 24 e il 25 gennaio del 1835 la Revolta dos Malês tenta di instaurare una vera e propria monarchia islamica.
A partire dagli anni Ottanta del XIX secolo, allo schiavismo, come origine storica della presenza dell’islam nel contesto latinoamericano, subentra un imponente flusso migratorio dai territori dell’Impero Ottomano, ormai avviato sulla strada di un’inesorabile disgregazione. La maggior parte degli immigrati – solo in parte musulmani – giunge oltreoceano a più ondate, dal 1880 al 1955, e proviene dalle regioni degli attuali Libano, Siria e Palestina. Un’immigrazione, questa, che si concentra soprattutto presso le grandi aree urbane come Sâo Paulo, Rio de Janeiro, Buenos Aires e Santiago. Per avere un’idea dell’entità del fenomeno può essere utile sottolineare come tra i discendenti della “diaspora siriana” si possano attualmente annoverare il 13% della popolazione di Buenos Aires e circa un milione di abitanti del Venezuela. Negli anni Settanta, in conseguenza degli sconvolgimenti politici nella regione mediorientale, i flussi migratori hanno conosciuto una significativa ripresa, in particolare da Libano e Iran.
Ad oggi, in base a uno studio pubblicato dal Pew Forum on Religion & Public Life nell’ottobre del 2009, la popolazione di fede musulmana nell’emisfero occidentale ammonta a 4,6 milioni di persone, di cui solo un milione e mezzo risiede in America Latina (più di tre milioni sono invece i musulmani residenti negli Stati Uniti e in Canada). Se in termini percentuali le comunità islamiche più consistenti sono quelle del Suriname (dove gli 83.000 musulmani rappresentano il 15,9 % della popolazione), della Guyana (55.000, pari al 7,2% del totale) e di Trinidad e Tobago (78.000, pari al 5,8% del totale), le realtà numericamente più significative sono in Venezuela (94.000 fedeli), Messico (110.000), Brasile (191.000) e soprattutto in Argentina, che ospita la più grande comunità musulmana del continente (784.000 fedeli, pari all’1,9% della popolazione). A fronte di una crescita non ancora massiccia, ma comunque costante, delle conversioni all’islam, l’immigrazione continua a rappresentare il fattore principale che alimenta la presenza islamica in terra latinoamericana. Rispetto ai decenni passati le rotte sono tuttavia cambiate, almeno in parte: se in Brasile infatti si può ancora parlare di un flusso di arrivi più o meno regolare dal mondo arabo, in Argentina e in altri Paesi il punto di partenza dell’immigrazione musulmana è sempre più frequentemente l’Africa Occidentale.
La presenza di una comunità musulmana nel continente contribuisce, insieme alle dinamiche della politica internazionale, alle relazioni politiche ed economiche dell’America Latina con il Medio Oriente. Tra gli Stati più attivi in questo senso vi è indubbiamente il Venezuela, che fin dall’inizio della presidenza di Hugo Chávez ha stabilito un rapporto molto forte con l’Iran – facilitato dalla comune necessità di aggirare l’isolamento imposto dagli Stati Uniti – e con la Siria (Paesi entrambi segnalati dal governo statunitense come “sponsor” del terrorismo internazionale). A conferma dei nessi che legano sempre più le due aree geopolitiche è significativo che Venezuela e Brasile partecipino – con lo status di Osservatori – alle riunioni dei Paesi membri della Lega Araba.
Non mancano tuttavia zone d’ombra; proprio i rapporti del Venezuela con l’Iran hanno infatti permesso al movimento fondamentalista sciita libanese Hezbollah, già presente in Sudamerica da decenni, di espandere la propria rete a Paesi quali Messico, Nicaragua, Colombia, Cile, Bolivia ed Ecuador. Il crescente attivismo di Hezbollah è stato recentemente segnalato da rapporti dei servizi segreti canadese e messicano, che hanno inoltre confermato il legame strutturale esistente tra cellule di Hezbollah attive in America Latina e organi governativi iraniani, quali il Ministero dell’Informazione e la Segreteria per la Sicurezza nazionale. È opportuno sottolineare che Hezbollah è stato sempre considerato il principale responsabile degli attentati antiisraeliani degli anni Novanta a Buenos Aires. Sul presunto insabbiamento delle indagini da parte delle autorità argentine – desiderose di non incrinare i rapporti economici con l’Iran – stava peraltro indagando il procuratore Alberto Nisman, trovato morto nella sua abitazione il 18 gennaio 2015, alla vigilia di un intervento che avrebbe dovuto pronunciare davanti al Congresso argentino proprio su questo delicato tema.
L’attività di Hezbollah e di gruppi della galassia fondamentalista sunnita – su tutti Al Qaeda – fiorisce in modo particolare nella cosiddetta TBA (Tri-Border Area), ovvero la zona di confine tra Argentina, Brasile e Paraguay in corrispondenza delle spettacolari cascate del fiume Iguazu. Il triangolo costituito dalle città di Puerto Iguazu (Argentina), Foz do Iguaçu (Brasile) e Ciudad del Este (Paraguay) è noto da tempo infatti all’intelligence di tutto il mondo come uno dei principali hub finanziari e logistici del terrorismo e del crimine organizzato internazionale, per via della scarsità di controlli sui traffici transfrontalieri e dell’alto tasso di corruzione delle autorità di frontiera. Fenomeni, questi, che riguardano soprattutto il lato paraguayano del confine, dove manca ancora una coerente ed efficace legislazione antiterrorismo. Nella TBA risiede una delle comunità arabe più numerose dell’America Latina, che conta circa 30.000 persone di origine prevalentemente libanese. Al suo interno, insieme a una maggioranza composta da sunniti (57%) e sciiti (33%), vivono anche drusi (5%) e cristiani (5%).