E’ iniziato il conto alla rovescia. Manca una settimana alle elezioni che metteranno fine all’era Kirchner, una successione di quasi quattro mandati presidenziali ripartiti equamente tra marito e moglie. Molti politici, in carovana o in solitario pellegrinaggio, imboccano le strade polverose e accidentate di periferia per immergersi nelle villas della cintura di Buenos Aires, dove vive il sacerdote José Maria di Paola, più noto come padre Pepe. Uno sciamare verso le aree marginali che non ha nulla di strano e tale, comprensibile e finanche auspicabile, lo considera padre Pepe. “E’ stato così anche nella villa 21” ricorda con un sorriso andando indietro negli anni, non molti per la verità, quando viveva in uno dei più popolosi enclave di miseria urbana della capitale argentina. “Venivano i candidati al governo di Buenos Aires per conoscere una realtà che pur trovandosi a poche centinaia di metri dai luoghi della politica era molto poco conosciuta”. I nomi sono quelli conosciuti dagli argentini, Ibarra, Macri, Tellerman, Filmus, alcuni tramontati altri vivi, vegeti e in corsa verso i nuovi traguardi della politica nazionale. “La cosa più simpatica” ricorda padre Pepe di Paola “è che nella villa 21 venivano anche politici da altri paesi per conoscere da vicino la situazione dei loro concittadini emigrati in Argentina” come nel caso dei due candidati a presidente del Paraguay, l’ex-vescovo Fernando Lugo, poi eletto nel 2008 e lo sconfitto generale Lino Oviedo.
Da quasi tre anni padre Pepe è passato dalla villa 21 ad un’altra della periferia di nome La Carcova, ad una trentina di chilometri da Buenos Aires, da quando cioè ha ritenuto che i rischi di un ritorno nell’habitat da cui lo avevano espulso i narcos nel 2019 fossero diminuiti. Non che di narcos, nella Carcova, non ce ne siano. Anzi. Spaccio, consumo, regolamenti di conti, degradazione e violenza sono all’ordine del giorno. Ma il modo di affrontarli, il suo, è quello di non alzare la voce più di tanto e lavorare per togliere le prede dalle mani di chi vuole strizzarle poco a poco. E qui si ritorna ai politici, spesso spettatori impotenti di quel che succede nelle villas, in taluni casi complici, in altri alla ricerca benintenzionata di lumi su come attuare con efficacia là dove lo stato non arriva, desiderosi comunque di mostrare di sé un profilo differente in epoca elettorale. Padre Pepe vede di buon’occhio che i politici “vogliano conoscere altri punti di vista come i nostri che viviamo dentro la villa, e non solo quelli del giornalismo o delle ricerche universitarie, che non dicono tutta la verità”.
Di molti politici padre Pepe è diventato un referente ascoltato. I nomi sono altisonanti in questi tempi elettorali. Il sacerdote ne seleziona alcuni: María Eugenia Vidal, candidata al governo della popolosa capitale argentina, Felipe Solá, già governatore in epoca difficile, Aníbal Fernández, potente capo di gabinetto della presidente uscente, Daniel Scioli, da lungo tempo con i motori accesi per succedere alla vedova Kirchner con buone possibilità di riuscirvi stando ai sondaggi dell’ultima ora. Quest’ultimo, Scioli, ha firmato, da Governatore della provincia di Buenos Aires, la convenzione tra la parrocchia san Giovanni Bosco e il ministero per lo sviluppo sociale, per la costruzione della scuola di arti e mestieri che sorgerà nella villa La Carcova con il nome di monsignor Romero.
Scioli rappresenta il peronismo dialogante, quello storico, interclassista e sociale, quello che cerca le mediazioni tra le parti, che punta sul lavoro produttivo, disponibile a negoziare con gli organismi internazionali per saldare in condizioni favorevoli il pesante debito contratto dall’Argentina con la bancarotta del 2001 che ancora pesa come zavorra sulle spalle della ripresa economica.
Padre Pepe non sottrae alle attenzioni dei politici, non si tira indietro, cerca si separare le lusinghe appiccicose del potere dall’aiuto pubblico che può riceverne per la sua opera di bonifica umana e sociale nei settori più marginali della società argentina. “Credo che noi preti delle villas abbiamo l’obbligo di trasmettere le opinioni che abbiamo a partire da quello che viviamo quotidianamente. La missione della Chiesa è sempre stata comunicare il Vangelo a tutti senza eccezioni, essere fermento di un mondo migliore, più umano e giusto in ogni realtà in cui è inserita”. Insomma essere “sale e luce per gli uomini, tutti, quelli che seguono gli insegnamenti della Chiesa e le persone di buona volontà che non li seguono”. Il richiamo al Papa argentino viene da sé. “Ricordo quando scrivemmo un documento sull’integrazione urbana, che piacque molto a Bergoglio, e che aveva a che vedere con le molte cose positive che una villa può trasmettere al resto della città di Buenos Aires, e viceversa. Integrazione fu il nucleo della nostra proposta, rispetto ad altre centrate sull’urbanizzazione o l’eradicazione delle villas. Il documento lo consegnammo personalmente in mano a figure importanti della politica di quegli anni…”.
Anche per questo le villas dov’è stato non sono più le stesse. “Prima del 2001 erano luoghi occulti, non si sapeva neppure della loro esistenza o se ne sapeva molto poco; le villas erano considerate ricettacoli di violenza e degradazione. Nel dialogo con funzionari, politici, legislatori Las villas si sono fatte conoscere meglio, in tanti aspetti di valore”.
Gli chiediamo a bruciapelo se non tema di essere strumentalizzato, insomma che i politici lo cerchino in tempo elettorale per farsi una fotografia con lui e con gli emarginati sociali che rappresenta da esibire poi in altri salotti elettorali e, perché no, con Papa Francesco che di padre Pepe è estimatore e amico. “Se uno riceve un altro non significa che coincida con i pensieri di chi sta ricevendo. Un incontro può essere una opportunità per essere ascoltati e promuovere cammini per la costruzione di una società migliore. Lo spirito della Chiesa dev’essere quello della inclusione e del dialogo, come mostra Papa Francesco, e come dobbiamo replicare nei luoghi dove viviamo”.
Un po’ come don Bosco, di cui il sacerdote Di Paola è grande estimatore al punto da dedicare al Santo torinese la parrocchia che dirige. “Non esitava a ricevere politici cattolici e altri apertamente avversi al cattolicesimo, persino massoni si dice”.