Dovendo riassumere in poche parole i discorsi di Papa Francesco, l’altro ieri al Congresso degli Stati Uniti d’America, e ieri all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ho pensato che una possibile lettura, includente di ogni sua riflessione, sia propria quella che si evince, per primo, da queste due importanti allocuzioni: la vera urgenza è governare la ricchezza e non farlo significa rendere sterile ogni forma di lotta contro la povertà, che d’altra parte, senza il governo della ricchezza difficilmente produrrà i risultati desiderati e servirà solo per tranquillizzare qualche coscienza. In questo binomio per così dire c’è tutta la sfida lanciata dal Papa ai politici USA, ai governanti del mondo, alle persone e popoli, e a chiunque senta come propri i destini dell’umanità, in particolare dei più deboli e senza voce.
A questi due discorsi va aggiunto però, per una maggiore e più approfondita completezza, una terza allocuzione, quella del 9 luglio scorso, in Bolivia, ai Movimenti popolari. Mi riferisco al discorso che il Papa aprì dicendo: “Abbiamo bisogno di un cambiamento” per poi precisare: “Vogliamo un cambiamento nella nostra vita, nei nostri quartieri, nel salario minimo, nella nostra realtà più vicina; e pure un cambiamento che tocchi tutto il mondo perché oggi l’interdipendenza planetaria richiede risposte globali ai problemi locali. La globalizzazione della speranza, che nasce dai Popoli e cresce tra i poveri, deve sostituire questa globalizzazione dell’esclusione e dell’indifferenza!“
I tre testi configurano una sorta di trittico abbastanza completo, aggiornato e approfondito della Dottrina sociale della Chiesa perché declinano gli insegnamenti sociali del magistero a partire della realtà odierna, individuando i problemi e le lacerazioni dell’umanità, i protagonisti di questo cambiamento e di questa speranza e, infine, le prospettive e le linee-guida per costruire un nuovo futuro. In queste corpose e articolate riflessioni Papa Francesco traccia l’Agenda del mondo sottolineando tutti i principali impegni di questo programma della speranza. Lo fa come Pastore della Chiesa universale, guardando il volto di Cristo, con il Vangelo nel cuore e fra le mani, e con la amorevole premura della “fretta” quasi per sottolineare: è scaduto il tempo delle parole, ora occorre passare all’azione. Ha chiesto ai Movimenti popolari di rendersi appassionati interpreti e protagonisti del proprio destino riappropriandosi la speranza rubata. Ha chiesto ai Congressisti USA, nel cuore del potere della democrazia statunitense, di rendersi disponibili ad assecondare questo cambiamento servendo con il loro potere gli interessi autentici delle persone e dei popoli. Lo ha chiesto infine, nella cornice del duro realismo della geopolitica e della geostrategia, ai governi e ai governanti e alle istituzioni davanti all’Assemblea generale dell’ONU. Papa Francesco sembra ritenere che “il problema “non sia la ricchezza né la povertà, bensì il rapporto tra le due realtà e dunque la questione centrale riguarda la grande sfida dell’essere capaci di governare la ricchezza per combattere la povertà. In lui riecheggiano le provocazioni schematiche ma veritiere di Paolo Freire: “La metà dell’umanità non dorme perché ha fame, ma anche l’altra metà non dorme perché ha paura di coloro che hanno fame”.
Stando così le cose non c’è futuro per l’umanità. Dai diversi ragionamenti contenuti in questi discorsi (forse da considerare come un’unica dissertazione divisa in tre parti), si evince che per il Santo Padre, da un lato c’è la povertà come sottoprodotto della ricchezza mal governata, e dall’altro ci sono i poveri, non cifre statistiche ma uomini concreti, con un nome, un volto e un luogo di sofferenza. Povertà e poveri non sono astrazioni tecniche bensì realtà specifiche da collocare all’interno di un contesto, di un modello-sistema, di un insieme di leggi e regole – in particolare quelle del cosiddetto “mercato” assunto come “divinità” onnipotente, onnipresente e onnisciente – dove decidono soltanto coloro che hanno accesso alla ricchezza e che, in definitiva, governano a modo loro, creando e perpetuando esclusioni di ogni tipo. Esclusioni ove si annida non solo la solitudine e la disperazione della condizione infraumana, ma anche la violenza, l’odio, il rancore, la divisione e l’incomunicabilità; esclusioni che corrodono i rapporti umani e che seminano – come forma e stile di “successo” l’egoismo, l’autoreferenzialità, il disprezzo per la presenza altrui – l’astio verso il diverso (razzismo e xenofobia) e l’astio verso il povero (classismo). Perciò non è possibile affrontare con successo e con metodi adeguati la povertà se non si affronta al medesimo tempo il governo della ricchezza. Si potrebbe dire che la lotta contro le povertà comincia proprio dalla governance della ricchezza e quindi da un maggiore, migliore e più giusto equilibrio nella distribuzione delle risorse, pubbliche e private. Gli equilibri odierni hanno finito per creare, e imporre, modelli di sviluppo tecno-materiali che la stragrande maggioranza dell’umanità subisce con delle conseguenze deleterie.
Fare della crisi uno scontro fra ricchi e poveri non ha senso e non conduce a nulla. La sfida è un’altra: un modello di pensiero – politico, sociale, antropologico nonché esistenziale – e dunque di società, capace di realizzare il principio della destinazione universale dei beni e la profezia dell’uguaglianza e fratellanza tra gli uomini. Solo così, gesti, comportamenti, parole e valori come “solidarietà”, “accoglienza” e “condivisione” – insomma: moltiplicazione dei pani e pesci – potranno essere anche fattori reali e concreti di sviluppo e crescita materiale e spirituale. In questo senso il Vangelo, “manifesto” di vita e di vita abbondante, se siamo capaci e lo vogliamo, può essere la “spinta” che manca, l’unico, se vissuto concretamente come “regola d’oro”, capace di rompere l’inerzia dei cuori dei cristiani e non cristiani, credenti e non credenti.
Alle Nazioni Unite Papa Francesco, senza citare il Vangelo lo ha proposto come guida per tutti: “I governanti – ha osservato con forza – devono fare tutto il possibile affinché tutti possano disporre della base minima materiale e spirituale per rendere effettiva la loro dignità e per formare e mantenere una famiglia, che è la cellula primaria di qualsiasi sviluppo sociale. Questo minimo assoluto, a livello materiale ha tre nomi: casa, lavoro e terra; e un nome a livello spirituale: libertà dello spirito, che comprende la libertà religiosa, il diritto all’educazione e gli altri diritti civili”.