Alti e bassi, interruzioni e riprese nelle trattative tra governo e guerriglia che da novembre sono in corso a L’Avana, con Cuba e la Norvegia paesi garanti e il Cile e Venezuela come paesi accompagnanti. Si ricomincerà un nuovo round il 2 aprile dopo l’ennesima sospensione, con le FARC che hanno respinto come “poco realista” l’impostazione del governo che chiede, a loro giudizio, la resa e un anno di carcere in cambio di incarichi pubblici di medio livello e la partecipazione politica alle future elezioni. Ma è vero che la bellicosità verbale della delegazione guerrigliera è nel conto, soprattutto considerando il giorno in cui le dichiarazioni sono state fatte, il quinto anniversario della morte per un infarto del fondatore delle FARC, Pedro Antonio Marín, alias Manuel Marulanda Vélez, più conosciuto come Tirofijo.
Dietro l’empasse da cui entrambe le parti si propongono di uscire dopo Pasqua ci sono risultati importanti come l’accordo praticamente raggiunto sul modello di sviluppo rurale e la questione della distribuzione delle terre, uno dei grandi temi che è all’origine del conflitto armato pluridecennale. All’inizio di marzo il vicepresidente della Colombia Humberto de la Calle, che guida l’equipe del negoziatori del governo, ha espressamente riferito di essere passati “dall’avvicinamento” agli “accordi” con le FARC sul tema della terra, e anche il portavoce della guerriglia Luciano Marín Arango, alias Iván Márquez, ha tenuto a precisare che quelli che si stanno realizzando sono i primi intendimenti che dovranno portare ad un accordo d’insieme “che si avvicina alle cinque pagine”. Fogli che registrano progressi su questioni controverse come l’accesso alla terra, le parcelle improduttive, la formalizzazione della proprietà dei titoli, la frontiera agricola e la protezione delle zone di riserva.
Un risultato, il primo, che permetterà di proseguire oltre. I nogoziatori del governo del presidente Juan Manuel Santos hanno rivelato che la guerriglia ha consegnato alla commissione negoziatrice “documenti specifici sulla volontà di passare dal primo al secondo punto dell’agenda, il più spinoso, quello appunto politico. Per la guerriglia le condizioni di una sua partecipazione alla vita democratica devono passare per il cambiamento del sistema elettorale, con precise garanzie di sicurezza, la scarcerazione previa dei “prigionieri di guerra e politici” e “l’individuazione dei responsabili della creazione, finanziamento e protezione dei gruppi paramilitari, nonché la necessità che gli accordi di pace siano sanciti da una Assemblea nazionale costituente, punto, quest’ultimo, già rifiutato dal governo.
Ma dietro la cortina verbale aggressiva sollevata dalle FARC c’è la realtà di una guerriglia colpita nei suoi dirigenti, fortemente ridimensionta dalle diserzioni, demoralizzata. E ci sono, all’orizzonte, le elezioni legislative del 2014, per il rinnovo del senato e della camera. Per luglio l’accordo dovrà essere raggiunto, per avere il tempo di iscrivere candidati e liste e partecipare alla campagna elettorale, con le FARC che hanno respinto come “poco realista” l’impostazione del governo che chiede, a loro giudizio, la resa e un anno di carcere espiatorio in cambio di incarichi pubblici di medio livello e la partecipazione politica alle future elezioni. Ma è vero che la bellicosità verbale della delegazione guerrigliera è nel conto, soprattutto considerando il giorno in cui le dichiarazioni sono state fatte, il quinto anniversario della morte per un infarto del fondatore delle FARC, Pedro Antonio Marín, alias Manuel Marulanda Vélez, più conosciuto come Tirofijo.
Dietro l’empasse da cui entrambe le parti si propongono di uscire dopo Pasqua ci sono risultati importanti come l’accordo praticamente raggiunto sul modello di sviluppo rurale e la questione della distribuzione delle terre, uno dei grandi temi che è all’origine del conflitto armato pluridecennale. All’inizio di marzo il vicepresidente della Colombia Humberto de la Calle, che guida l’equipe del negoziatori del governo, ha espressamente riferito di essere passati “dall’avvicinamento” agli “accordi” con le FARC sul temma della terra, e anche il portavoce della guerriglia Luciano Marín Arango, alias Iván Márquez, ha tenuto a precisare che quelli che si stanno realizzando sono i primi intendimenti che dovranno portare ad un accordo d’insieme “che si avvicina alle cinque pagine”. Fogli che registrano progressi su questioni controverse come l’accesso alla terra, le parcelle improduttive, la formalizzazione della proprietà dei titoli, la frontiera agricola e la protezione delle zone di riserva.
Un risultato, il primo, che permetterà di proseguire oltre. I nogoziatori del governo del presidente Juan Manuel Santos hanno rivelato che la guerriglia ha consegnato alla commissione negoziatrice “documenti specifici sulla volontà di passare dal primo al secondo punto dell’agenda, il più spinoso, quello appunto politico. Per la guerriglia le condizioni di una sua partecipazione alla vita democratica devono passare per il cambiamento del sistema elettorale, con precise garanzie di sicurezza, la scarcerazione previa dei “prigionieri di guerra e politici” e “l’individuazione dei responsabili della creazione, finanziamento e protezione dei gruppi paramilitari, nonché la necessità che gli accordi di pace siano sanciti da una Assemblea nazionale costituente, punto, quest’ultimo, già rifiutato dal governo.
Ma dietro la cortina verbale aggressiva sollevata dalle FARC c’è la realtà di una guerriglia colpita nei suoi dirigenti, fortemente ridimensionta dalle diserzioni, demoralizzata. E ci sono, all’orizzonte, le elezioni legislative del 2014, per il rinnovo del senato e della camera. Per luglio l’accordo dovrà essere raggiunto, per avere il tempo di iscrivere candidati e liste e partecipare alla campagna elettorale.