José Gabriel del Rosario Brochero è morto nel 1914, all’età di 73 anni, avendone vissuti 47 da prete, sfinito, malato di lebbra, in povertà e abbandono, quando in Europa cominciavano gli scricchiolii sinistri della prima grande guerra. La causa di beatificazione non è stata rapida, nonostante la grande fama di santità che lo ha accompagnato in questo scorcio di secolo. Un quotidiano di Cordoba ne pubblicò la biografia spirituale quando era in vita, e prima ancora di morire il suo nome era menzionato nei testi scolastici delle scuole elementari della regione. Ma solo negli anni ’60 la causa ha cominciato a muovere i primi passi, nel 2004 ha scalato il primo gradino con Giovanni Paolo II che lo ha dichiarato venerabile e il 20 dicembre 2012 il secondo, con Benedetto XVI che ha firmato il decreto di beatificazione. Formalmente è terminata oggi, sulle lande gelate di Cordoba, davanti a tanti gauchos come Brochero avvolti nei tradizionali ponchos per proteggersi dalla insolita gelata notturna, dopo mezzo secolo di pause, spinte, frenate, accelerazioni, perplessità (sul linguaggio di Brochero, per esempio, alquanto colorito, tosco, lo ha chiamato il cardinale Angelo Amato ricorrendo ad un argentinismo). La causa di beatificazione si è conclusa giusto con un papa regnante connazionale del nuovo beato, l’ottavo candidato a santo dell’Argentina.
Non c’è relazione tra i due eventi, la fine dell’iter canonico di Brochero e l’elezione di Bergoglio a Papa, o almeno non c’è nesso visibile e sull’invisibile non c’è ragione di avventurarsi. C’è voluto il miracolo, come da prassi, e il miracolo c’è stato, un miracolo ordinario, di basso profilo se vogliamo, in linea con Brochero, il miracolo di un bambino che ha sofferto un gravissimo incidente di transito nel 2000, guarito per sua intercessione, accertato come “soprannaturale” con tutti i crismi delle severe procedure canoniche. Non c’è nesso di causa ed effetto tra beatificazione e d elezione di due argentini, ma non c’è dubbio che papa Bergoglio, con il cuore, oggi sia lì, tra le decine di migliaia di contadini e cittadini scesi dalle montagne di Cordoba, a cavallo molti, con l’autobus i più, in moto e finanche in bicicletta tanti. Perché Brochero è di quei preti che piacciono a Bergoglio, “un pioniere nell’uscire verso le periferie geografiche ed esistenziali per portare a tutti l’amore, la misericordia di Dio” ha scritto nel messaggio letto da Amato in suo nome. “Non rimase nell’ufficio parrocchiale, si logorò sulla mula e fini con l’ammalarsi di lebbra, a forza di uscire a cercare la gente, come un prete di strada (callejero ) della fede”. Un prete di quelli che Bergoglio ha additato a modello ai sacerdoti di Buenos Aires, che vanno incontro alla gente, si inseriscono “nella loro conversazione”, non hanno “paura di entrare nella notte degli uomini” che “ vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso”.
Cosa che il cardinale Angelo Amato, non ha mancato di sottolineare nella messa di beatificazione, tracciando di Brochero il profilo di un sacerdote del popolo, dedicato alle anime, che si faceva tutto con tutti, una “perla della santità argentina comparabile al santo cura de Arns”.
Il resto è venuto in soprappiù. Un eccedenza della carità che nel caso del cura Brochero ha la forma di una opera civilizzatrice imponente. Perché José Gabriel del Rosario Brochero ha costruito strade dove non ce n’erano, ha aperto scuole dove lo stato non arrivava, ambulatori medici dove medici non avevano mai messo piede, case per ragazze abbandonate, chiese, asili, ricoveri, mense, scuole, e canali di irrigazione, un cimitero, un acquedotto, un ufficio postale, l’ estensione della linea ferroviaria… Tutto per amore di Dio.