Un lunedì insolito per chi ha acceso la televisione nello stato messicano di Quintana Roo, ma non inaspettato, perché Baktún, la prima soap opera di questo genere, è stata preceduta da un discreto battage pubblicitario e molta curiosità. Chi si è seduto davanti ai teleschermi ha conosciuto almeno i preliminari della storia di Jacinto, un ragazzo che abbandona il villaggio per andare a New York. La città gli piace ma è costretto a tornare nella foresta dello Yucatan perché il padre sta molto male. Purtroppo non arriva in tempo per accomiatare il genitore ancora in vita e il villaggio lo accusa di aver tradito i suoi avi e dunque la sua cultura. Per Jacinto comincerà un percorso di ravvedimento e riavvicinamento alla terra degli antenati. Il tutto in lingua rigorosamente maya, con un cast di attori non professionisti, tutti indigeni del Quintana Roo, stato nella penisola dello Yucatan, reclutati dalla produzione a bassissimo costo (181 mila euro per cinque settimane di riprese). Tra loro c’è anche Hilario Chi Canul, collaboratore di Mel Gibson per i dialoghi di Apocalypto.
Ha esordito così la telenovela “Baktún”, una rivoluzione per il prodotto di intrattenimento per antonomasia in Messico, la telenovela. Quanti l’hanno vista? Il pubblico di telespettatori e l’impatto che ne hanno ricevuto soddisfa le aspettative dei produttori? I trenta episodi previsti giungeranno in porto? Ancora non sono stati diffusi dati d’ascolto e analisi del profilo dei telespettatori. C’è da dire comunque che la lingua maya è meno sotterranea di quanto si pensi. Dati dell’INALI, l’Instituto Nacional de Lenguas Indígenas, vogliono che la lingua sia attualmente parlata da circa 800mila persone in Messico; ovviamente rischia di diventare presto solo un ricordo, di qui uno degli scopi di Baktún, preservare un dialetto che sta soccombendo allo spagnolo, soprattutto in ambito televisivo.