Colpiscono i numeri diffusi pochi giorni fa dal “Centro nazionale per la memoria storica” (CNMH) della Colombia istituito dopo gli accordi di pace tra governo e guerriglia delle Farc per delineare con precisione le dimensioni e le responsabilità di mezzo secolo di violenza ed indennizzare le vittime che l’hanno subita. Il rapporto appena pubblicato sintetizza in 262 mila i morti degli ultimi sessant’anni, in media un delitto fatale ogni due ore, con 80.514 scomparsi, quasi quattro ogni giorno. Altre 37 mila 93 persone sono state vittime di rapimento e gli attori del conflitto – paramilitari, guerriglieri, agenti dello Stato – hanno commesso 15 mila 687 attacchi sessuali. Nello stesso periodo sono avvenuti 4.222 massacri con 24.518 vittime. Degli oltre 260.000 morti registrati durante il conflitto armato, il 43% è attribuito ai paramilitari di destra e il 16% ai guerriglieri.
Non si allontanano di molto le cifre della violenza in Messico. Da quando l’allora presidente Felipe Calderón decretò la guerra contro il traffico di droga nel dicembre 2006, fino allo scorso giugno, cioè in 11 anni e mezzo, il Sistema nazionale di sicurezza pubblica ha contabilizzato 257.555 omicidi, uno ogni 25 minuti in media. Il saldo delle vittime della presidenza Calderón ammonta a 121.613 morti e 24.956 dispersi ma Peña Nieto ha ottenuto ciò che sembrava impossibile: superare il suo predecessore del Partito di azione nazionale, PAN.
Il saldo di 519 mila 753 morti in Colombia e Messico, un numero che equivale alla popolazione di una grande città o ad uno scenario di guerra aperta tra due o più nazioni del pianeta, ha dell’incredibile se non fosse documentato. Le due situazioni sono accomunate da uno stesso attore che concentra la responsabilità principale della violenza: la produzione e il traffico di droga destinato ai mercati statunitensi ed europei. Le differenze tra i due paesi, ovviamente, sono diverse. Per cominciare, le cifre della Colombia corrispondono a un conflitto armato interno che vede in azione guerriglieri, paramilitari, esercito e alcuni soggetti non riconducibili a matrici delinquenziali o ideologiche che hanno approfittato della situazione. Le cifre del Messico sono il frutto di una guerra criminale organizzata e della risposta dello stato, non sempre trasparente. C’è da tener presente poi che il Messico ha una popolazione 2,6 volte superiore a quella della Colombia e che i dati sulle vittime in Colombia comprendono un periodo di 60 anni, tra il 1958 e il luglio 2018, mentre quelli del Messico hanno un arco temporale di 11 anni e mezzo, i sei anni di presidenza Calderón e quelli di Enrique Peña Nieto, che non ha potuto o voluto cambiare la strategia fallimentare del suo predecessore. Sotto il mandato di Calderón (2006-2012), gli omicidi sono aumentati del 102% rispetto al mandato del suo predecessore, Vicente Fox, e i cartelli della droga hanno stabilito un controllo territoriale senza precedenti, che ha aperto la strada all’emergere di gruppi di autodifesa negli stati di Michoacán e Guerrero. Vanno anche ricordati massacri come quello del 2011 a San Fernando, nello stato di Tamaulipas, dove sono state trovate tombe clandestine con circa 200 corpi di immigranti centroamericani, e la strage del Casino Royal de Monterrey, che ha provocato 53 morti in un solo episodio.
A differenza del Messico, dove la guerra contro i gruppi armati illegali non si può ancora dire che abbia toccato il fondo, in Colombia si registra un declino della violenza sensibile e prolungato. Le uccisioni selettive hanno raggiunto il loro punto critico nel 2002, quando sono state registrate 16.393 vittime, mentre l’anno scorso ce ne sono state meno di 100. E gli omicidi sono scesi nel 2017 ai minimi storici: 11 mila 718 casi, equivalenti a 24 ogni 100 mila abitanti, il tasso più basso degli ultimi 42 anni.
Fino a quando il governo entrante del Presidente Iván Duque adempia agli impegni sottoscritti dallo Stato colombiano e plachi il settore più radicale del suo partito, il Centro Democratico, che ha promesso di “smontare” gli accordi con le FARC, la violenza in Colombia continuerà in declino. In Messico, occorrerà vedere se la nuova strategia proposta dal presidente eletto, Andrés Manuel López Obrador, riuscirà a spezzare il ciclo di violenza iniziato con la guerra che Calderón ha dichiarato al traffico di droga.