Da quando nel 2003 l’allora arcivescovo di Santiago cardinale Francisco Javier Errázuriz lo nominò Vice Cancelliere dell’arcivescovado più grande e più importante del Cile, e fra quelli più rilevanti dell’America Latina, padre Oscar Muñoz Toledo è stato un sacerdote silenzioso, discreto e mite (fra i suoi amici si diceva: “è talmente felpato e felino che a volte fa dubitare di una sua reale esistenza”). O almeno così è stato sino al 5 gennaio 2018, vale a dire tre giorni dopo l’autodenuncia per aver compiuto abusi sessuali su un minorenne suo parente.
Muñoz Toledo è stato anche un sacerdote potentissimo, di lui si parlava quasi con venerazione e per il clero dell’arcidiocesi era considerato irraggiungibile, tale era l’alone di potere e riservatezza che lo avvolgeva. Altri però sottolineano che il prete non aveva grandi poteri decisionali, esecutivi, ma sotto i suoi occhi passava tutta l’informazione più importante dell’arcivescovado: denunce di ogni tipo, contratti e appalti, movimenti finanziari, nomine, spostamenti, ricompense e punizioni. Come “notaio” dell’arcidiocesi padre Muñoz Toledo doveva essere presente in tutte le riunioni importanti, preparare un resoconto e poi controfirmare numerosi atti, inclusi quelli dell’arcivescovo. In altre parole, questa carica di Cancelliere, apparentemente burocratica, faceva del suo titolare un uomo di totale e assoluta fiducia dell’ordinario diocesano. Ecco perché nel giugno 2011 il nuovo arcivescovo cardinale, Ricardo Ezzati, nominò padre Muñoz Toledo Cancelliere. Quindi, come Vice Cancelliere prima (2003-2011) e poi Cancelliere (2011-2018) il sacerdote è stato per 15 anni ininterrotti l’uomo del quale due cardinali si sono fidati di più, nonché custode di tutti i segreti più rilevanti del periodo, in particolare quelli sul caso del prete pedofilo seriale Fernando Karadima.
Proprio sui rapporti tra la vicenda Karadima e la biografia e personalità del Cancelliere si è cominciato ad indagare in modo profondo. Per alcuni inquirenti esistono fondati sospetti che il Cancelliere, al momento delle indagini, abbia negato o nascosto alla giustizia ordinaria civile molta informazione su Karadima e sulla sua Pia Unione Sacerdotale. Va ricordato che il processo civile contro Karadima è stato chiuso anni fa senza nessuna sentenza per prescrizione dei reati. Ora, da quanto dichiara il cardinale Ezzati (in una Nota ufficiale scritta del 14 luglio), si sa che il prete, in data 2 gennaio 2018, e cioè 13 giorni prima dell’arrivo del Papa in Cile, presentò all’Opade (“Oficina pastoral de denuncias” dell’arcivescovado) un’autodenuncia, attribuendosi la colpa di aver violentato anni fa un minorenne suo parente. Si verifica così uno strano caso di conflitti: Muñoz Toledo è al tempo stesso il denunciante che si autodenuncia e il Cancelliere dell’arcidiocesi preposto a ricevere il documento dell’Opade per trasmetterlo all’arcivescovo.
Il 4 gennaio 2018, dice Ezzati in modo generico, “nell’Arcivescovado di Santiago si riceve il documento della autodenuncia” ma chi riceve il documento? lui, il suo segretario, un altro dipendente? Non si sa e il cardinale Ezzati non chiarisce questo punto. Il giorno successivo, precisa il porporato, sono state avviate le indagini preventive e al tempo stesso sono state decretate le seguenti misure cautelari per Muñoz Toledo: (a) Restrizione assoluta dell’esercizio pubblico del ministero sacerdotale; (b) Cessazione immediata del ministero di parroco; (c) Cessazione immediata nella carica di Cancelliere; (d) Si stabilisce una residenza obbligatoria per il sacerdote dove deve attendere istruzioni.
Dopo 26 giorni, si concludono le indagini preventive e il verdetto è chiaro: i fatti autodenunciati sono verosimili ed esistono testimonianze di altri delitti sessuali compiuti nello stesso ambiente familiare. Il 1° febbraio, nella misura in cui le indagini hanno confermato che nelle malefatte del prete sono coinvolti minorenni, l’arcivescovo Ezzati trasmette tutti gli atti alla Congregazione per la Dottrina della Fede (come stabiliscono le norme sui Delicta gravoria, riservati, appunto, a questa specifica Congregazione). Tra l’altro il 1° giugno scorso l’Opade riceve una nuova denuncia contro padre Muñoz Toledo per abusi sessuali compiuti su un minorenne; i documenti vengono mandati subito in Vaticano e il 6 luglio l’arcivescovo R. Ezzati riceve dalla Congregazione per la Dottrina della Fede una lettera che ordina al cardinale di aprire un processo amministrativo penale a carico dell’ex Cancelliere. Lo stesso giorno l’ordinario della diocesi “decreta un processo amministrativo penale secondo il canone 1720 del Codice di Diritto Canonico”.
Su Oscar Muñoz Toledo, che sulla stampa cilena di ieri alcuni ricordano come persona vivace e amichevole, seppure discreta, si sottolinea che ha avuto una carriera fulminante, compiuta senza nessuna preparazione specifica e specializzata, come per esempio un buon livello di studi canonici. Si dice anche che il sacerdote, con il suo accesso a tutti i più importanti segreti della diocesi, in definitiva contasse quanto l’arcivescovo stesso.
La sua è stata una vocazione adulta. Entrò in seminario a 28 anni dopo aver lavorato in una banca e altre istituzioni finanziarie. Molti altri sacerdoti, suoi compagni, e qualche vescovo, lo ricordano come una persona molto conservatrice che spesso diceva di essere un uomo di destra. Una testimonianza particolare ricorda che Muñoz Toledo, non ancora sacerdote, celebrò con grande rumore la chiusura di una testata, “Epoca”, contraria alla dittatura di Pinochet.
Il 2 giugno 2000, quando aveva 38 anni, fu ordinato presbitero dal cardinale Francisco Javier Errázuriz, arcivescovo di Santiago. Come diacono lavorò nella parrocchia la “Transfiguración del Señor” e poi come parroco prima in quella della “Inmaculada Concepción” (Maipú) e poi in quella di “Jesús de Nazareth”. A questo punto la stampa cilena è convinta che il caso di padre Muñoz Toledo potrebbe rivelarsi un gigantesco colpo di scena per abbattere molte omertà, resistenze, segreti che ancora coprono la storia di Karadima, epicentro della crisi del cattolicesimo cileno. C’è molto ancora da sapere, indagare e approfondire.
Tra i procuratori che indagano sul caso si ha l’impressione di essere davanti alla punta di un iceberg: la parte svelata finora è una percentuale minima di tutta la vicenda e quella nascosta è ancora tutta da indagare. Proprio a riguardo delle indagini: la notizia di una serie di perquisizioni (inclusa una compiuta nell’ufficio privato del cardinale Ezzati, sino a ieri sconosciuta e rivelata da “La Tercera”), potrebbe preannunciare la rivelazione di nuovi dettagli in questa complicata storia. Occorre però procedere con calma, discrezione e astuzia, dicono gli inquirenti. Che l’intero meccanismo dell’arcivescovado potesse essere marcio, ma in grado di reagire con buona potenza di fuoco, sarebbe dimostrato da questo fatto: cinque mesi fa mons. Charles Scicluna ha ricevuto direttamente nei suoi uffici di La Valletta (Malta) diverse denunce di abusi sessuali e comportamenti sessuali illeciti compiuti, nell’ambito della chiesa, da alcuni sacerdoti. Colpisce la modalità di invio di questi documenti: perché questa spedizione fuori delle regole? Perché sono stati spediti direttamente a mons. Scicluna fuori dal Cile e non all’arcivescovado di Santiago? Il mittente temeva che i documenti finissero al macero o peggio ancora venissero intercettati da chi li avrebbe distrutti?
Si scrive sulla stampa cilena: «questo fatto dimostra che già tempo fa si era persa la fiducia nel Cancelliere e nel meccanismo arcivescovile». In questo contesto si scrive anche che forse è negli uffici dell’ex Cancelliere che sono stati distrutti documenti, fatto denunciato da Papa Francesco nella lettera del 15 maggio consegnata ai vescovi cileni in Vaticano per la “meditazione e la preghiera”. Nella nota a piè pagina N° 24, il Santo Padre scrive: “Un’altra circostanza analoga che mi ha causato perplessità e vergogna è stata la lettura delle dichiarazioni che certificano pressioni esercitate su coloro che dovevano condurre l’istruzione dei processi penali, o finanche la distruzione di documenti compromettenti da parte di incaricati di archivi ecclesiastici, evidenziando così un’assoluta mancanza di rispetto per il procedimento canonico e, più ancora, pratiche riprovevoli che andranno evitate nel futuro”.
Questa denuncia del Papa tra l’altro è stato uno dei passaggi che più hanno commentato alcuni vescovi cileni, dichiarando alla stampa di non aver saputo mai nulla al riguardo e di non essere in grado di individuare e capire bene a cosa si riferisse il Santo Padre.