I due delinquenti che un giorno di maggio del 2012 entrarono in un ristorante di Montevideo ed assassinarono un cameriere che vi lavorava aprirono le porte a qualcosa che in quel momento non si sapeva bene dove avrebbe portato ma che divenne più chiaro quando sull’onda dell’indignazione pubblica il governo dell’allora presidente José Mujica annunciò che nella lotta senza quartiere alla droga e agli spacciatori si sarebbe mosso per regolare e controllare il mercato della marihuana, il tossico più consumato dagli uruguayani. Il presidente dell’Uruguay in quel momento si premurò di introdurre una distinzione e alla CNN in lingua spagnola dichiarò che il problema più grave era il narcotraffico e la violenza che esso comportava, non la marihuana in quanto tale.
Sei anni dopo la considerazione presidenziale e quasi un anno dopo l’inizio effettivo della vendita legale di marihuana in alcune farmacie del paese sudamericano, il mercato illegale degli stupefacenti inizia sì a mostrare dei cambiamenti, ma non quelli sperati.
Nel 2012, quando la regolamentazione fu proposta per la prima volta, vennero sequestrate 153 piante di marihuana; nel 2017 i sequestri –dati del Ministero degli Interni in mano – sono balzati a 1926. Non solo ma rapporti della polizia di stato mostrano inequivocabilmente che gli scontri tra bande di narcotrafficanti per il controllo del mercato sono aumentati non solo nella capitale, Montevideo, ma si sono estesi a città della provincia come Minas, Chuy e San Carlos.
Il giornalista Guillermo Losa, in una inchiesta condotta per il quotidiano nazionale El Observador, riferisce dati del Ministero degli Interni dell’Uruguay stando ai quali quasi il 60% degli omicidi è oggi provocato dagli scontri tra gruppi criminali vincolati al traffico di droga, il doppio rispetto al 30% registrati del 2012. E sebbene l’Istituto Nazionale per la Regolazione e Controllo della Cannabis (IRCCA) stima che più della metà dei consumatori di marihuana si procuri la droga per canali legali, l’obbiettivo per cui fu scritta e approvata la legge per combattere il narcotraffico è lontano dall’essere raggiunto.
Monica Ferrero, magistrato specializzata in traffico di droga, crede che il mercato illegale abbia saputo adattarsi al cambiamento e abbia introdotto nuove modalità di vendita degli stupefacenti: dal “pressato” paraguaiano, un misto di steli e foglie ai quali si aggiungono degli agenti chimici, si è passati a piante e germogli che adesso si possono reperire con certa facilità. Questi ultimi contengono le proprietà psicoattive della pianta, e rappresentano un prodotto di maggiore qualità rispetto a quello preparato nel paese confinante. Tanto che una voce autorevole del Ministero degli Interni come quella del sottosegretario Jorge Vázquez ha dovuto ammettere a El Observador che si sta analizzando la situazione nel tentativo di determinare se le piante e i germogli sequestrati al mercato illegale provengano da fonti legali, ossia farmacie autorizzate, club della cannabis o auto coltivatori autorizzati, o se siano introdotti nel mercato da produttori non registrati. “Dal punto di vista della sicurezza pubblica la marihuana non è mai stata un problema importante”, riconosce Vázquez. Ma le cose non stanno più così e una fonte della polizia afferma che il mercato illegale ha saputo adattarsi molto velocemente alla legge sulla regolamentazione di questa droga, per esempio riducendo la vendita di marihuana e incrementando quella di cocaina e del paco, nonché le droghe che in maggior misura sono incentivi al delitto.
Il paco, acronimo di “pasta base di cocaina”, è uno scarto nella lavorazione di quest’ultima che viene poi mescolato con sostanze molto tossiche come il kerosene, l’acido solforico, la colla, la polvere di vetro, fino al veleno per i topi. Una dose può costare anche meno di mezzo dollaro ed è accessibile alle tasche dei più poveri. L’effetto dura appena venti secondi ma porta molto rapidamente all’assuefazione, con il seguito di conseguenze conosciuto, tra cui quella di escludere il settore più povero dal mercato del lavoro.
Uno degli scopi della legge che regola la produzione e il consumo della marihuana era quello di allontanare i consumatori di cannabis dai luoghi dove si offre paco e cocaina. Ma la regolamentazione non è mai arrivata ai quartieri più poveri e l’obiettivo è ben lontano dall’essere raggiunto. Basti pensare che delle 16 farmacie autorizzate alla vendita di marihuana in Uruguay, la maggior parte si trova in quartieri a reddito medio e alto; nella capitale, Montevideo, una sola farmacia è localizzata in un quartiere a basso reddito.
Al di là del modo in cui sono distribuiti i punti vendita sul territorio, il numero di farmacie abilitate alla vendita legale è ancora molto basso, anche a causa della minaccia delle banche di chiudere i conti di coloro che vendono il farmaco, costringendo diversi commercianti a rinunciare a questa attività. L’Istituto Nazionale per la Regolazione e Controllo della Cannabis ha proposto di creare un regolamento per consentire la vendita di farmaci ad imprese che avrebbero la cannabis come attività principale e che, per evitare il problema delle banche, sono disposte a lavorare in contanti. Le sorti della proposta sono incerte e consultati da El Observador, le autorità dell’agenzia preferiscono non rilasciare dichiarazioni.
Fatto sta che il consumo di cocaina cresce a scapito della domanda del paco. Un fenomeno che si spiega con un miglioramento del potere d’acquisto degli uruguaiani, che ha portato i consumatori di queste sostanze a optare per un farmaco di qualità superiore. Ciò implica anche più soldi per i narcotrafficanti, rendendo effettivamente la legge ideata nel 2012 un successo, ma per questi ultimi.