Non sono lontani i tempi in cui nativi del Perù erano sottoposti a sterilizzazione perché non si riproducessero nella proporzione in cui la loro tradizione e l’ignoranza nell’uso di metodi contraccettivi moderni li spingeva a fare. Più recente ancora è la preoccupazione delle Nazioni Unite perché una tale pratica, la sterilizzazione delle donne, non si riproponga né in Perù né altrove, così com’è recente la volontà dell’organismo sovranazionale di punire le violazioni che ci sono state in questo senso nel corso degli ultimi decenni. Come i 6000 casi occorsi tra il 1995 e il 2001, durante la dittatura di Alberto Fujimori (1990-2000), che adesso una delegazione del governo peruviano guidata dal viceministro dei diritti umani Miguel Ángel Soria Fuerte, ha riconosciuto davanti al Comitato diritti umani delle Nazioni Unite in un’audizione che si è tenuta il 25 aprile.
Secondo gli esperti in diritti umani che hanno presenziato l’audizione la sterilizzazione forzata contro le popolazioni indigene potrebbe essere inquadrata tra i crimini di genocidio dal momento che una tale pratica surrettizia può arrivare ad impedire la perpetuazione di un gruppo etnico. Il Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale delle Nazioni Unite, che controlla l’attuazione della Convenzione internazionale sul tema delle sterilizzazioni forzate, ha chiesto al Perù di prendere “le misure necessarie per garantire che l’indagine sui casi riscontrati venga portata avanti senza ritardi, in modo esaustivo e assicurando che i responsabili siano debitamente puniti e che le vittime abbiano accesso a un’adeguata riparazione”.
Il Comitato, che è formato da 18 esperti indipendenti eletti con il voto dei paesi che hanno ratificato la Convenzione in questione, ha accolto con favore “l’istituzione del Registro” delle vittime di queste gravi violazioni dei diritti umani”, così come la notizia della riapertura del processo “che coinvolge tanto le donne indigene che hanno subito sterilizzazioni forzate, come coloro che continuano ad avere difficoltà ad accedere alla giustizia e al registro” di cui sopra.
I diciotto esperti che si sono riuniti alla fine di aprile provengono dai principali paesi asiatici (Cina, Giappone e Corea del Sud); tra loro ci sono anche un discendente afro-colombiano, un indigeno del Guatemala, un russo di lingua spagnola, una zingara di Ungheria, due neri francesi di ex colonie in Africa, un turco, uno spagnolo, un americano, un belga, un brasiliano, un giamaicano, un mauritano. La commissione è presieduta da un algerino.