L’Argentina è un paese dove quasi il 90% di chi lo abita dichiara di essere credente. È interessante distinguere nello svolgimento di questo articolo che una cosa è essere credenti e un’altra è essere praticanti. C’è un concetto di esistenza di Dio nella società argentina che è rilevante quando si definiscono delle politiche pubbliche. Perchè ha a che vedere con quello che da diverse settimane a questa parte, la stampa argentina discute nei suoi portali di notizie: il rapporto economico tra Stato e Chiesa Cattolica e la riduzione del denaro che il primo concede ai sacerdoti e ai vescovi. Per procedere in questa revisione, sono state formate due commissioni ad hoc, una di parte ecclesiale, l’altra di parte statale.
Secondo il quotidiano argentino Perfil del 14 agosto, «il decreto-legge 21.950, firmato da Jorge Rafael Videla e José Martínez de Hoz nel 1979, prevede “un’indennità mensile equivalente a una percentuale di quella percepita dal Giudice Nazionale di Primo Grado” e fissa tale percentuale nell’80% per i vescovi diocesani e nel 70% per gli “ausiliari e il Segretario Generale dell’Episcopato”. Sulla base di questo calcolo i vescovi diocesani ricevono un reddito di 46.800 pesos al mese [1.100 euro all’incirca al cambio odierno] e gli ausiliari e i vescovi emeriti di 40.950 pesos [955 euro]. Questa legge è complementata da altre quattro, anch’esse approvate durante la dittatura. In caso di riforma, sarà necessario l’intervento del Congresso per procedere con le modifiche richieste per queste ed altre leggi».
Da quello che abbiamo potuto ricostruire, il clima attuale delle conversazioni sul tema della revisione del finanziamento statale alla Chiesa è cordiale e franco, nonostante si respirino ancora nell’aria le forti tensioni che hanno attraversato la società argentina nei mesi della discussione sull’aborto, conclusi con il rifiuto della proposta di legalizzazione sorta nel seno del governo.
C’è accordo nell’affermare che “dobbiamo continuare a lavorare” perché questo “è un momento in cui è necessario il dialogo più che mai” per superare la sensazione che persiste in alcuni settori della società che attribuisce alla Chiesa la responsabilità del fallimento legislativo della “legge verde”, dal colore con cui si identificavano all’unanimità i sostenitori della legge pro-aborto. C’è una rabbia evidente in questa porzione della società che adesso lotta per la separazione della Chiesa e dello Stato come obbiettivo principale, e che ottiene visibilità mediatica con la campagna che promuove le apostasie personali e di gruppo dalla Chiesa.
Ma in cosa sono uniti la Chiesa e lo Stato argentino? La Costituzione Nazionale indica che lo Stato argentino è laico e retto da un sistema politico democratico. Si può dire perciò che in Argentina la religiosità è vissuta positivamente, c’è libertà di culto e pluralità di espressioni di fede. Affermare che lo stato argentino è “legato” alla Chiesa è tanto impreciso quanto sbagliato.
Andando puntualmente alla questione delle assegnazioni di denaro ai vescovi e ai preti, “sono state istituite due commissioni tecniche: una della Conferenza Episcopale Argentina dove ci sono sacerdoti, commercialisti e avvocati e un’altra del Governo dove ci sono il Capo di Gabinetto, la Segreteria del Culto e il Ministero delle Finanze. Tra tutti stiamo valutando quali siano le migliori alternative al sistema di sostentamento che vige oggi in Argentina”, ha risposto Alfredo Abriani, segretario del Culto della Nazione, ad una nostra domanda.
Il tema del sostentamento del culto all’interno della Chiesa argentina non è nuovo. Ed è bene chiarire che una cosa è lo stipendio percepito dal clero, e un’altra l’assistenza per l’educazione e per l’enorme lavoro sociale svolto dalla Chiesa attraverso organizzazioni come Caritas, per esempio, modello di trasparenza nella ricezione e distribuzione delle risorse ricevute dallo Stato. Quest’ultimo punto non fa parte delle conversazioni in corso; come nemmeno sono messi in discussione i contributi del Segretariato per le Politiche Globali sulla Droga, noto con il suo antico nome di SeDroNar, nell’accompagnamento dei programmi di riabilitazione dalla dipendenza che la Chiesa cattolica porta avanti in tutto il paese attraverso le sue istituzioni e gruppi specializzati nel trattamento del problema con approccio poliedrico ed integrale.
La Chiesa ottiene fondi propri e genuini attraverso le offerte settimanali delle messe e le collette annuali come quelle che organizza Caritas e “Más Por Menos”. “I 130 milioni di pesos che riceve la Chiesa [poco più di 3 milioni di euro] per sacerdoti e vescovi non raggiunge nemmeno il 7% del volume di denaro gestito dalla Chiesa ogni anno”, ha confermato Abriani. Inoltre, attraverso la gestione delle sue proprietà, la Chiesa ottiene denaro in modo genuino, ad esempio dagli affitti.
Un altro punto da chiarire sono le esenzioni fiscali che sono le stesse per tutti i culti. Dobbiamo distinguere il sostentamento diretto dal sostentamento indiretto. Il primo è composto dal trasferimento che lo Stato fa alla Chiesa direttamente, ossia i 130 milioni di pesos di cui stiamo parlando. Il sostentamento indiretto è rappresentato dall’esenzione fiscale che si applica a tutti i culti. Qualsiasi istituzione religiosa iscritta nel Registro Nazionale del Culto può godere di tali benefici.
Nei due tavoli di lavoro appena istituiti sono state prese in esame opzioni come il “Piano Condividere” e sono anche stati scartati i sistemi di sostentamento del culto spagnolo, italiano e tedesco. Si stanno pensando altri sistemi attraverso cui lo Stato favorisca un meccanismo dove sono i fedeli che sostengono la Chiesa.
Eliminare della società l’idea che lo Stato appoggi la Chiesa richiede un intelligente mix di pedagogia, insegnamento e comunicazione strategica che miri ad invertire l’asserzione sulla base dell’autentica natura del legame. La chiarezza nei legami sarà fondamentale in questo momento per generare la consapevolezza dello spazio di ciascuno insieme all’autonomia, alla cooperazione e al dialogo tra le due parti.
Traduzione dallo spagnolo di Elisabetta Fauda