La signora Juanita si è svegliata come tutti i giorni alle quattro e mezza di mattina, e mentre impasta il pane che venderà passate le sette, nella sua umile casetta tra le colline, guarda il rosario di plastica bianca appartenuto a sua mamma che ricevette in regalo durante la crociata del rosario negli anni Sessanta. Nella catechesi per la sua prima comunione, riecheggiava nel suo cuore il lemma di quella campagna, lo stesso che sua mamma le ripeteva costantemente: “La famiglia che prega unita, rimane unita”.
Ieri Ana María, lungo il tragitto della metropolitana, pensava che sono già passati quindici anni da quando il suo parroco insinuava che dopo la sua separazione moltissime cose sarebbero cambiate nella sua vita, tra le quali il suo incontro con il Cristo vivo nell’eucarestia. Da allora, lei non si è più messa nella fila di coloro che aspettano questo tozzo di pane consacrato che da vita e accende il cuore degli uomini. Ricorda come con il passare del tempo ha smesso di andare a messa la domenica, pensando erroneamente che Dio non aveva più bisogno di lei, e che chi glielo aveva fatto credere non era stato altri che un uomo.
Javier, di 26 anni, guarda suo fratello dall’altra parte del tavolo mentre fanno colazione: Pablo, di 21 anni, tra il collo e la maglia lascia intravvedere, un poco aggrovigliata, la croce che non ha mai smesso di portare, diversamente da Javier. Entrambi provengono da una famiglia di quattro figli, educati in una scuola della chiesa. La differenza tra loro è che Javier è stato bocciato due volte, e quindi è stato mandato via; poi, quando frequentava il terzo semestre in un’altra istituzione, è tornato alla sua comunità di origine per chiedere un colloquio con il catechista che conosceva da tutta la vita: gli chiese di potersi preparare con loro per la cresima, ma lui ha risposto che sarebbe stato difficile, poiché ormai non era parte di quella comunità.
Miguel, con 28 anni di matrimonio con Francisca, non si ricorda neppure più quando hanno iniziato il loro lavoro pastorale, sono molti gli anni passati insieme nella loro chiesa. Così tanti che con il tempo questo incarico, il lavoro e i figli hanno occupato tutti gli spazi della loro vita. Questo pomeriggio hanno saputo dalla segretaria che il sacerdote con il quale hanno lavorato gli ultimi tre anni nella catechesi prematrimoniale, è stato sospeso temporaneamente perché indagato di abuso sessuale contro un minore.
Così, la realtà svela migliaia di storie dove riecheggia un sentimento di dolore. Il racconto molto semplice di queste storie non tiene conto volutamente dei casi in cui appaiono sacerdoti fedeli ai loro voti e al loro impegno sacerdotale, come anche di quei casi in cui le famiglie sono state brutalmente colpite dall’abuso di uno dei suoi membri; forse perché le due situazioni esposte in precedenza rappresentano gli estremi del pendolo tra cui la realtà effettivamente si muove.
La crisi nella Chiesa, la si può spiegare teologicamente, la qual cosa è necessaria e opportuna per coloro che posseggono gli strumenti per poter condurre una riflessione e per tutti quelli che la vogliono ascoltare. Nella mia estrema semplicità sento che come istituzione, la Chiesa ha cercato in molti momenti di rinnovarsi per restare in vita, aspirando ad imparare a scoprire, attraverso l’unione e la coerenza nell’azione, la mano di Cristo. Inoltre, il terremoto che abbiamo visto sotto i nostri occhi ha lasciato tante vite senza nessuna difesa, vite che nella loro espressione più pura appartenevano alla Chiesa, e dico appartenevano, perché quella di oggi, investigata e che occulta, non ha nulla a che vedere con l’altra: quella che ha accompagnato le famiglie nella loro formazione, dove il senso di comunità portava ad essere parte di una realtà, non magica e illusoria, ma dove alla luce della verità intima e sincera si imponeva, e dove molti di noi riversavano i loro sentimenti. Dove il Cristo della storia si faceva uno in carne e ossa, e questo sosteneva il pellegrinare personale e di molti, come anche il lavoro senza tregua di fronte a situazioni che coinvolgevano la vita di fratelli e sorelle, come quelle cause così valide di giustizia sociale e di dignità delle persone.
Lontano da una passività che non mi appartiene, oggi solo guardo dalla finestra.
*Professoressa, laica consacrata, consulente delle Comunità ecclesiali di base e membro del comitato editoriale di Reflexion y Liberación
Traduzione dallo spagnolo di Silvia Pizio