L’inondazione e la dimenticanza hanno avuto inizio molto prima. Le piogge di questo tempo ne mostrano appena le conseguenze penose. I fiumi crescono portandosi via tutto lungo il loro corso tumultuoso. Le case, gli orti, le scuole, i sogni, i desideri e le speranze dei più dimenticati di questo paese. Piove a catinelle e il fiume Orinoco si trasforma in un oceano marrone che copre la foresta e i suoi misteri, ma mette anche a nudo l’improvvisazione e l’inettitudine dei governi che si sono susseguiti nel sud. Scrivere di Puerto Ayacucho è per me una vera sfida. Nelle sue strade -oggi inondate- ho trascorso la maggior parte della mia vita. In questo paesello di poche vie e scarsi servizi sono stato davvero felice: ho studiato, mi sono innamorato per la prima volta, ho trovato amici e ho scoperto la magia della radio. Nel Porto sono diventato amazonense. Oggi vedo il suo volto decrepito e mi spavento. Quasi non lo riconosco. Degli anni 90 non rimane nulla, o molto poco. Le zone balneari sono insicure e irraggiungibili a causa della scarsità di gasolio. Gli altri sei comuni sono territori inospitali -terre di mafia e miniere-. Ormai non c’è traccia dei mercati regionali e degli hotel che manifestavano l’intenzione di voler diventare un paradiso turistico. Di quell’epoca ricordo i tre voli giornalieri pieni di turisti desiderosi di conoscere le meraviglie che nascondono i quattro parchi nazionali, i diciannove monumenti naturali, i fiumi e il mistero dei popoli indigeni. Oggi, c’è un solo volo settimanale che mantiene la comunicazione con Caracas. Nient’altro.
Una settimana fa ho percorso gli oltre 700 kilometri che separano Puerto Ayacucho dalla capitale della repubblica. Il percorso è una dimostrazione della distruzione e dell’abbandono: a Guárico si vedono le rovine della ferrovia, a Apure le stalle desolate, le innumerevoli guardiole e i tristi casali che sopravvivono grazie alla testardaggine e al sentimento di appartenenza degli abitanti. Al termine della strada si trova “la chalana”, un’imbarcazione da carico improvvisata a metà del secolo XX che è l’unica forma per attraversare da Puerto Páez (Apure), fino a El Burro (Bolívar). Una chiatta ossidata, trascinata da una nave, è tuttavia il mezzo di trasporto di coloro che desiderano raggiungere il Sud del Venezuela. Ci si è dimenticati del progetto della costruzione del ponte sui fiumi Meta e Orinoco.
Dopo quattordici ore, ammirando la bellezza delle pianure nella loro massima espressione, arriviamo alla capitale dello stato dell’Amazzonia. Le sue strade sono tutte rotte, non c’è illuminazione pubblica, né segnale per il cellulare e molto meno dati per navigare in internet. Negli anni 90 c’era almeno il telefono, ora hanno rubato i cavi e la comunicazione è un privilegio di pochi.
Amazzonia è Venezuela? Le ultime piogge hanno provocato inondazioni danneggiando più di dieci mila famiglie in Puerto Ayacucho. Quartieri vecchi e nuovi sono sott’acqua. Non c’è nessuno che faccia qualcosa. La “pianificazione” urbana è rimasta una parola vuota. La mediocrità e il populismo sono annegati. Le edificazioni su terre prossime ai fiumi dimostrano la pirateria delle istituzioni dello Stato. A Porto Ayacucho non funziona niente. Il mio compagno di viaggio era sorpreso dall’oscurità, dai buchi giganteschi nelle strade e dalla scarsità di tutto. “Non so cosa mostrarti, non so dove portarti”, gli ho detto mentre schivavamo il pericolo della notte su strade sconosciute. In Piazza Bolívar nessuno passeggia, i fidanzati non si espongono e i venditori di gelati e hot-dog sono spariti. “Da quando hanno iniziato ad uccidere persone nessuno esce più nella piazza”, mi ha detto un vecchio amico. Ha insinuato che sia iniziata un’operazione di pulizia che ha lasciato nei crocevia centinaia di individui colpiti da una pallottola. Tutti sanno chi sono gli autori, ma nessuno osa denunciarli.
Le miniere dell’orrore. Quando ho cominciato a chiedere di vecchi conoscenti, mi hanno risposto che si trovavano nelle miniere. Cercando oro, coltán e altri minerali che sembrano seminati nella folta foresta. Nel comune di Atabapo -frontiera con la Colombia-, gli accampamenti delle miniere distruggono a destra e sinistra i boschi e i fiumi. Il mercurio contamina i pesci e una macchia gialla minaccia di uccidere la biodiversità della zona. L’abbandono, l’indifferenza e la complicità minacciano la vita del malamente chiamato “polmone vegetale” del mondo. Anche in piena foresta si occultano gli orrori della prostituzione, la tratta di persone, il sicariato, il contrabbando, il narcotraffico, la malaria e il HIV senza trattamento né controllo. Il governo insiste con la bugia delle miniere ecologiche: non esistono e l’Amazzonia ne è la prova.
Affogati nell’abbandono. Dopo quasi tre giorni in Porto Ayacucho sono ritornato con la tristezza di lasciare la mia famiglia nel bel mezzo del nulla. Terrorizzato dal deterioramento cronico della mia città. Tornando alla “chalana”, il fiume aveva guadagnato vari metri al paese di El Burro e perfino il posto della Guardia Nazionale si trovava sott’acqua. L’automobile era a mollo da più di tre giorni prima. Il giorno successivo ho saputo che il passo era stato chiuso perché l’imbarcazione non aveva dove attraccare. Le migliaia di persone che oggi hanno subito danni sono un riflesso dell’indolenza e della trascuratezza.
Nel cammino –tra Porto Páez e Las Macanillas- si può ascoltare solo la Radio Nazionale di Colombia e la radio della Forza Armata Nazionale Colombiana. Cos’è successo con la sovranità della nazione e il patriottismo? per caso il sud di Apure, Bolívar e Amazzonia non fanno parte del Venezuela?
Come ho detto precedentemente, scrivere sull’Amazzonia è per me una sfida molto complicata, a causa di ciò che ho vissuto e quello che vedo adesso. Le inondazioni di questi giorni fanno che le telecamere mettano a fuoco El Muelle e El Bajo, ma nessuno guarda più in là. Pochi osservano e protestano per la denutrizione nella capitale più giovane del paese.
P.S. La sostenibilità del paese dipende dal sud. Lì si trovano l’acqua e l’aria. Quando terminerà il petrolio e l’oro, chiederanno cacao, manioca e pesce.
*Coordinatore dei servizi informativi di Radio Fe y Alegría del Venezuela
Traduzione dallo spagnolo di Silvia Pizio