Nessuna delle lettere pastorali scritte nel corso della nostra storia, neppure quelle che prendevano di mira Somoza e il regime sandinista degli 80, è stata così forte ed esplicita come il recente messaggio pastorale della Conferenza episcopale del Nicaragua. I vescovi chiariscono nella lettera che la loro missione come mediatori e testimoni del Dialogo nazionale non esclude la dimensione profetica del loro ministero, e che si vedono nell’urgenza di recarsi sui luoghi del conflitto per difendere la vita degli indifesi, consolare le vittime e mediare per raggiungere una soluzione pacifica della situazione. I vescovi scrivono che i paramilitari stanno intensificando la repressione e la violenza verso le persone che protestano civicamente, e sono addolorati per il gran numero di morti e la sofferenza che viene inflitta al popolo; dicono che sono afflitti per i feriti, gli ingiustamente perseguitati, minacciati, sequestrati e detenuti arbitrariamente. Affermano che oggi “come mai prima d’ora” —così lo sottolineano—, i diritti umani sono violati in Nicaragua. Assicurano di essere testimoni della mancanza di volontà politica del Governo per dialogare sinceramente e individuare processi reali che incamminino il paese verso una vera democrazia, negandosi ripetutamente ad affrontare gli argomenti posti in agenda per la democratizzazione del sistema politico, e non osservando le raccomandazioni della Commissione interamericana per i diritti umani, soprattutto quella di disarmare i paramilitari filogovernativi, fermare gli attacchi della polizia, dei gruppi paramilitari e degli squadroni incitati ad aggredire e seminare il terrore tra il popolo.
I vescovi fanno riferimento anche agli atti sacrilegi commessi da gruppi mandati esplicitamente ad attaccare con grida, pugni e coltelli i fedeli cattolici e i sacerdoti. Nel corso di questi attacchi il vescovo ausiliare è rimasto ferito, il cardinale e il nunzio di sua Santità, il papa Francesco, sono stati oltraggiati. Hanno anche sparato ad un altro vescovo che passava con la sua automobile e l’hanno aggredito con insulti e minacce; hanno invaso armati diverse chiese, le hanno saccheggiate e hanno bruciato i loro beni; hanno profanato il Santissimo Sacramento. E quando gli studenti dell’UNAN, Universidad Nacional Autónoma de Nicaragua—che l’avevano occupata per protesta— l’hanno abbandonata rifugiandosi in una chiesa, per quindici ore la polizia ha sparato con armi da guerra verso quel piccolo tempio dove si trovavano circa 200 persone tra cui studenti, fedeli cattolici, giornalisti e sacerdoti. Ci sono stati morti e feriti.
Nella storia del Nicaragua non si era mai visto un Governo attaccare a colpi d’arma da fuoco persone disarmate in una università e, peggio ancora, in una chiesa. È qualcosa che tutt’alpiù ci si poteva immaginare che potesse essere perpetrato dai criminali terroristi dell’ISIS o in qualche paese africano dove ancora si commettono barbarie, ma non dal Governo di un paese civilizzato.
È vero che nel 1981 l’Esercito sandinista obbligò otto mila cinquecento indigeni miskitos a lasciare le loro comunità stanziate sulle rive del fiume Coco, ri-localizzandoli in accampamenti, e mentre il loro vescovo monsignor Salvador Schlaefer li accompagnava nel doloroso esodo, ricevette una pallottola nel bacino; e che nel 1986 il vescovo di Juigalpa, monsignor Pablo Antonio Vega, è stato sequestrato dal governo sandinista, buttato su un elicottero e scaricato in Honduras, accusato di essere un “criminale” per le sue critiche. In quell’occasione papa Giovanni Paolo II disse: “L’azione contro la Chiesa in Nicaragua, un fatto quasi incredibile, mi ha reso profondamente triste, poiché evoca epoche oscure che si potrebbe ragionevolmente credere superate. Innalzo, con la mia più viva deplorazione, una forte preghiera all’Altissimo perché visiti con la sua grazia monsignor Vega”. In precedenza, lo stesso Giovanni Paolo II era stato oltraggiato da gruppi sandinisti in Nicaragua; ma il fatto non era stato così grave come gli attuali numerosi attacchi in una vera e propria campagna di odio contro la Chiesa cattolica, dove si chiamano assassini i suoi ministri e dove persone in combutta con il Governo li stigmatizzano sui mezzi di comunicazione e le reti sociali. Sono tutti fatti che portano alle conseguenze tristi che sono sotto i nostri occhi e a cui si riferisce il recente messaggio pastorale dei vescovi del Nicaragua.
In Nicaragua non si era mai vista una situazione così grave da quasi cinque secoli, quando nel 1550 il vescovo Antonio de Valdivieso venne assassinato a pugnalate da Pedro de los Ríos, genero del governatore Rodrigo de Contreras, che il vescovo aveva denunciato per atti di corruzione e maltrattamento crudele degli indigeni. Allora come oggi, la Chiesa alzò la sua voce profetica. Il vescovo Valdivieso denunciò: “In questa provincia abbonda un agire disonesto, e se non si trova una soluzione, la colonia sarà completamente persa. L’unica causa è colui che ha governato male e il genero, e con entrambi insieme in Nicaragua nessuno può venerare Dio senza mettere la propria vita in pericolo”.
*Avvocato, scrittore e giornalista. Originario di Granada (Nicaragua) risiede attualmente a Managua.
Traduzione di Silvia Pizio