L’attacco virulento che il comandante Daniel Ortega ha lanciato il 19 luglio contro i vescovi della Conferenza episcopale della chiesa cattolica, è destinato a essere l’ultima stoccata per far deragliare la speranza del paese nel Dialogo Nazionale, ma è destinato al fallimento più clamoroso. I vescovi hanno detto che non abbandoneranno la loro missione profetica al fianco del popolo massacrato, come testimoni e mediatori nel Dialogo per facilitare una soluzione politica pacifica, nonostante le provocazioni del regime e gli attacchi contro i templi della chiesa e contro loro stessi. Questa è la principale garanzia che, malgrado il proposito di Ortega, prevarrà il Dialogo e che i vescovi non lasceranno mai uno spazio vuoto che Ortega possa riempire con la sua manipolazione politica.
Ma la gravissima minaccia contro i vescovi richiede anche una risposta di massima solidarietà, una forte reazione da parte del popolo del Nicaragua, cattolici e non cattolici, studenti universitari, agricoltori, lavoratori, settori medi, produttori, commercianti e imprenditori. Nessuno può rimanere impassibile davanti alla crudezza di questo attacco e la pericolosità di questa minaccia, ed è giunta l’ora di esprimere sostegno ai vescovi e ai sacerdoti, con tutta la forza che la nazione può esprimere ed in ogni modo possibile.
Ortega ha parlato alla piazza con arroganza e disprezzo, come un Generale che abbia appena vinto una campagna militare sanguinosa, quando tutti sanno che le sue bande paramilitari si sono scontrate con eserciti inesistenti a La Trinidad, Lóvago, Jinotepe, Diriamba, UNAN Managua, Masaya e Monimbó. E dall’alto dell’ondata di terrore che ha messo in moto, dopo aver massacrato, perseguito e catturato centinaia di cittadini nella così chiamata “operazione di pulizia”, ha diretto il suo attacco finale contro i vescovi. Li ha accusati di essere “golpisti” davanti ai suoi sostenitori in una piazza fanatizzata, utilizzando la televisione in forma abusiva, ed esibendo come unica “prova” la tabella di marcia della democratizzazione nata dal Dialogo Nazionale, una proposta che comprende riforme politiche profonde, pulizia totale del sistema elettorale e lo svolgimento di elezioni anticipate nel marzo del prossimo anno. La stessa cosa che ha chiesto il Segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), Luís Almagro, ma Ortega non ha avuto il coraggio di scontrarsi con le 21 nazioni del continente americano che questo mercoledì, nel corso della riunione dell’OEA, hanno approvato una risoluzione che condanna la repressione dello stato, chiesto la soppressione dei paramilitari e il sostegno al Dialogo con la mediazione dei vescovi, proprio perché si possano realizzare il prima possibile le elezioni anticipate. Di conseguenza, anche la comunità internazionale, a partire dal Vaticano, deve uscir fuori in difesa dei vescovi. Essi rappresentano l’unica possibilità di spianare la strada lungo un percorso di pace in Nicaragua, allontanando la minaccia di una guerra civile che Ortega vuole imporre a tutti i costi. E anche se il Dialogo Nazionale è ferito dalla mancanza di volontà politica del presidente, è indispensabile rafforzarlo con il sostegno di garanti internazionali affidabili.
Un presidente inabilitato a governare perché ha le mani insanguinate da più di 280 morti, non può danneggiare la credibilità dei vescovi, e nemmeno intaccare l’integrità morale della Conferenza episcopale. Negli undici anni della sua dittatura istituzionale, prima di passare ad un regime repressivo e sanguinario, Ortega non ha mai potuto cooptare o dividere i vescovi. Al suo servizio c’è stato il cardinale Miguel Obando y Bravo che ha sempre benedetto le politiche del regime, fino a proclamare Ortega “Padre della Patria”. Ma i vescovi non si sono mai inchinati. Si sono conservati come la riserva morale della nazione e in questi mesi di ribellione civica hanno dato una testimonianza di coraggio a tutta prova, e di impegno cristiano con la verità e con le vittime.
Con l’arroganza di un potere messianico, che pateticamente presenta la coppia presidenziale come “gli unti di dio”, Ortega ha cercato di screditare i vescovi, e quello che ha ottenuto è stato di screditare la sua propria idoneità come controparte del Dialogo Nazionale e come possibile attore della transizione politica. Le sue dimissioni da presidente sono oggi come oggi ancora più urgenti di prima, per facilitare riforme che portino all’istituzione della giustizia, della democrazia e della pace in Nicaragua.
*Opinionista del quotidiano La Prensa, viceministro della cultura nel 1979, direttore del quotidiano del Fronte Sandinista Barricada fino alla sua chiusura nel 1994, attualmente è direttore del sito d’informazione Confidential