Al di là dei proclami di un governo a cui restano meno di due mesi di ordinaria amministrazione prima del cambio di consegne, la verità vera è che la cocaina è tornata ad essere un grosso problema per la Colombia. Per quanto paradossale possa apparire le cosiddette coltivazioni illegali sono aumentate nel tempo intercorso tra la firma degli accordi di pace con le Farc ad oggi e adesso rischiano di diventare il combustibile che minaccia di incendiare il post-conflitto. La polizia nazionale, il governo degli Stati Uniti, il Sistema Integrato per il Monitoraggio delle Coltivazioni Illegali (SIMCI) delle Nazioni Unite concordano su una conclusione desolante: in Colombia, dal 2014 in poi, la quantità di ettari coltivati a coca è quasi quadruplicata. Senza contare che, oltre ad essersi espanse geograficamente, le coltivazioni si sono modernizzate ed hanno aumentato il loro indice di produttività.
La crescita delle coltivazioni in un certo qual modo scagionano le Farc, accusate di promuoverle, proteggerle e derivare dal traffico di cocaina i proventi per la loro guerra. Adesso che tutte le fonti concordano nel dire che la situazione si è aggravata e la guerriglia si è ritirata dalle zone di conflitto, la spiegazione va cercata altrove:
Un rapporto del Dipartimento di Stato americano del 2015 segnalava la Colombia come il principale paese produttore di cocaina, nonché il paese d’origine del 90% della droga immessa negli Stati Uniti. Lo stesso documento riportava dati allarmanti sull’aumento della produzione che, tra il 2013 e il 2015 era passato dal 39% al 42 per cento. Con il conseguente aumento del numero di morti per overdose che nel 2015 fu il più alto registrato nel decennio.
La preoccupazione del governo statunitense si evidenziò nel fatto che la Casa Bianca fece trapelare l’indiscrezione di essere disposta a tagliare il rilevante aiuto economico accordato alla Colombia di ben il 35% del suo ammontare.
Per fronteggiare le critiche del principale alleato, il governo nazionale colombiano si difese divulgando i risultati riportati sul terreno nella lotta al traffico e nel sequestro di cocaina, anch’essi in sensibile aumento. Nel 2017 oltre 300 tonnellate sono cadute nelle mani della polizia. Ma l’azione delle forze di sicurezza che in termini di sequestri poteva essere mostrata come encomiabile, per le agenzie antidroga statunitensi e gli esperti di lotta al traffico il numero dei sequestri non faceva altro che confermare le preoccupazioni. Per una semplice ragione: le statistiche e la storia della lotta contro il traffico di droga mostrano che il sequestro colpisce solo il 10% del volume totale della droga esportata.
I punti critici della produzione colombiana venivano localizzati nelle regioni di Tumaco, Nariño, e Catatumbo, nel nord della provincia di Santander. Seguiti da Guaviare, Bajo Cauca, Caquetá, Cauca e Putumayo.
Altro paradosso del caso colombiano, all’aumento delle coltivazioni illegali contribuisce anche la crescita dei parchi nazionali e dei così chiamati “territori etnici”, aree, entrambe, protette da leggi ambientali che vietano programmi di fumigazione, considerati dalle agenzie antidroga lo strumento più efficace contro le colture illegali. E i paradossi non finiscono qui. Lo stesso processo di pace spiega almeno in parte l’espansione delle coltivazioni di coca, là dove gli accordi di l’Avana prevedono sovvenzioni da parte dello Stato per lo sradicamento delle piantagioni illegali. Il programma, anziché favorire la riconversione delle semine, ha incentivato molti agricoltori a piantare cocaina per poi reclamare gli aiuti stanziati per la sua eliminazione.
A tutto questo occorre aggiungere che i programmi del governo disegnati in funzione della riduzione delle aree coltivate non stanno dando i risultati previsti.
Dopo aver rivelato i dati catastrofici che vedono 180.000 ettari di suolo colombiano dedicati illegalmente alla coltivazione di piantagioni di cocaina, il Ministero della difesa ha annunciato che presto verrà pubblicato un documento con le nuove strategie del governo per combattere la coltivazione illegale. La repressione è una di queste. La Colombia – si annuncia – potrà contare in breve con 60 reparti formati da 2.460 soldati professionisti per sradicare manualmente le piantagioni. I 23 reparti esistenti al giorno d’oggi inquadrati nelle fila della polizia nazionale aumenteranno a 45 a partire dal mese di luglio. Appena terminata la scuola di formazione gli agenti abilitati verranno destinati alla eradicazione delle coltivazioni illecite secondo un piano di intervento che si concentrerà in particolar modo nelle tre aree critiche di Antioquia, Nariño e Caqueta. Obiettivo: “ripulire” 13 dipartimenti entro la fine del 2018 e portare la superficie coltivata al di sotto dei 90.000 ettari. Nella speranza che ancora una volta non resti sulla carta.