Tutto all’insegna dell’ecumenismo il viaggio che Papa Francesco si accinge a compiere a Ginevra per i 70 anni del Consiglio Ecumenico delle Chiese sulla scia del viaggio a Lund, in Svezia nel 2016, per la commemorazione del 500° anniversario della Riforma luterana. Nel corso della visita il Papa incontrerà anche una delegazione della Corea del Nord che insieme ai cristiani del Sud, partecipa all’Assemblea ecumenica che inizia domani. Centrale nella visita a Ginevra anche il tema della pace ed il supporto delle Chiese per i rifugiati. Tra le quasi 350 Chiese del Consiglio Ecumenico, la maggior parte rappresenta realtà africane o asiatiche, da dove provengono molti rifugiati che fuggono verso l’Europa, culla delle tre confessioni cristiane come il cattolicesimo, le chiese ortodosse e quelle protestanti.
Per contribuire alla comprensione del cammino ecumenico della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II pubblichiamo un frammento di una più ampia intervista realizzata nel 2006 al filosofo uruguaiano Alberto Methol Ferré, conosciuto e apprezzato da Bergoglio.
Come sintetizzerebbe i grandi risultati del Concilio?
Con il Concilio la Chiesa trascende tanto la riforma protestante quanto l’illuminismo secolare. Li supera, nel senso che assume il meglio dell’uno e dell’altro. Possiamo anche dire così: ricrea una nuova riforma e un nuovo illuminismo. Che erano poi le due grandi questioni rimaste irrisolte, con cui i conti non erano mai stati veramente chiusi.
Con il Concilio, la riforma e l’illuminismo diventano finalmente un passato, perdono sostanza e ragion d’essere, e realizzano il meglio di sé stessi nell’intimità cattolica della Chiesa. La Chiesa, all’assimilarli, li abroga in quanto avversari e ne raccoglie la potenza costruttiva.
Cosa significa che li assimila?
Per rispondere all’insieme delle sfide – per “aggiornarsi” – la Chiesa doveva riassumere l’insieme della modernità, da cui si era difesa nel corso del processo di decomposizione della vecchia cristianità medioevale e barocca. I tratti fondamentali della modernità si chiamavano riforma protestante e illuminismo secolare. La Chiesa aveva dato delle risposte all’una e all’altro, ma tali risposte erano state limitate e in qualche modo insufficienti, nel senso che avevano rifiutato e respinto gli elementi inaccettabili della riforma e dell’illuminismo, però non avevano distinto sufficientemente la verità dell’errore. Mentre un errore è poderoso proprio per la veridicità che racchiude in sé, a cui si può rispondere – pertanto – solo comprendendo il nucleo di verità che porta dentro. L’economista Paul Samuelson dice con ironia – ma con molto fondamento – che anche un orologio fermo attesta la verità almeno due volte al giorno.
Secondo me il Concilio Vaticano II per la prima volta supera la modernità comprendendo il meglio della riforma protestante e il meglio dell’illuminismo secolare.
Qual è “il meglio” della riforma?
L’affermazione del Popolo di Dio e del laicato come popolo sacerdotale.
In un certo senso la riforma fu una grande protesta laicale verso il clericalismo. Nel vecchio mondo contadino la Chiesa era il settore più illuminato, e il clero, in essa, era la componente più letterata; i religiosi sapevano leggere e scrivere, copiavano libri, tramandavano la conoscenza, quindi controllavano l’eredità culturale del passato e la sua trasmissione, mentre l’insieme della società era prevalentemente analfabeta. Il “meglio” della riforma la si può considerare una rivendicazione di partecipazione attiva del popolo nella Chiesa stessa; è il popolo elevato alla condizione regale di popolo sacerdotale.
Poi, la riforma, finirà col togliere valore al sacerdozio ministeriale, e questo la condurrà a mettere in discussione la gerarchia, la successione apostolica, la totalità della tradizione ecclesiale, aprendo così la strada all’ interpretazione soggettiva delle sacre scritture, viste e trattate non come depositum fidei del popolo nel suo insieme, ma come un possesso di ciascuno individualmente inteso. È così che la riforma protestante si atomizza in molteplici chiese. Basti osservare che il protestantesimo non si diffonde per un movimento di dispiegamento, ma per una riproduzione incessante di comunità scollegate l’una dall’altra. Oggi la sua moltiplicazione avviene in maniera settaria.
In che senso dice che il Concilio assume questo nocciolo interno della riforma protestante?
Il Concilio proclama la missione sacerdotale del popolo, di cui il papato e il clero sono parte in termini di servizio.
Quello cristiano non è un popolo amorfo, ma strutturato attorno al papato, che garantisce la trasmissione del depositum fidei, con un collegio cardinalizio che collabora a perpetuare la suprema autorità, una tradizione scritta certa e autorevole, una collegialità esercitata in contatto con il popolo, ecc.
Veniamo alla seconda questione pendente. Il cristianesimo aveva unito in forma intima ragione naturale e fede; l’illuminismo impugna la ragione naturale contro la Chiesa. Come si giunge a questa opposizione?
La crisi della riforma aveva generato le guerre di religione, la pace era compromessa, ovunque i cristiani si assassinavano tra di loro. In questa situazione l’illuminismo rappresenta il tentativo di riunificare e pacificare una Europa lacerata e divisa. Si muove per legittimare la pace religiosa costruendo il percorso di un accesso naturale e razionale a Dio, contro il soprannaturalismo del protestantesimo che non accetta i prolegomeni della ragione naturale. In un certo senso il protestantesimo esalta la fede contro la ragione naturale, l’illuminismo è una risposta secolare che afferma la ragione naturale come superiore e più vera della fede che ognuno può nutrire soggettivamente.
L’ecumenismo che l’illuminismo si proponeva di attestare aveva lo scopo di sostituire la molteplicità delle chiese in conflitto sottomettendo tutto e tutti ad una superiore ragione naturale proclamata come base della vera razionalità umana. Coloro che al dio della ragione naturale aggiungono una credenza particolare lo possono fare, ma deve restare nell’alveo di una esperienza libera e facoltativa di ciascuno; tutti, invece, si devono riconoscere nel dio della ragione naturale, che così viene ad essere affermato come l’unità minima universale in una situazione di molteplicità religiosa. Tale è l’essenza dell’ecumenismo massonico.
L’illuminismo assumeva così un carattere di protesta verso l’assorbimento del secolare nel religioso, manifestava il rifiuto della ragione naturale verso una religiosità oscura. Da una parte respingeva le forme ecclesiastiche che disconoscevano l’autonomia del secolare, tanto nell’ordine della politica, dello stato, come nell’ordine della conoscenza, delle scienze della natura e umane, e dall’altra si opponeva a una spiritualità negatrice del valore del mondo, che invocava il cielo a scapito della terra, in opposizione alla terra. L’illuminismo, al contrario, pretendeva di affermare il valore della terra contro il clericalismo cattolico e il pessimismo protestante. In questo nucleo polemico – sommariamente riassunto – a mio modo di vedere è racchiuso il meglio dell’illuminismo.
La duplice protesta compie un percorso che non serve dettagliare in questa sede; basterà osservare che sbocca nel secolarismo e finisce con l’espellere il religioso dalla vita storica, lo reclude in un ambito privato, o, più semplicemente, lo nega; ma questo è un altro discorso. Merita ripetere che gli illuministi percepivano il cielo come invadente la terra, quindi, per loro, il cielo era un ostacolo al progredire della terra. Cielo e terra – per essi – erano in alternativa: o il cielo o la terra, o Dio o l’uomo.
Un illuminato come Feuerbach, “padre” di Marx ed Engels, lo affermava con chiarezza, quando scriveva che il vero cristianesimo non ha bisogno né della cultura, ritenuta un principio mondano contrario al sentimento religioso, e neppure dell’amore naturale. Proudhon era persuaso che andasse intrapresa una lotta senza quartiere contro il cielo perché la terra potesse essere.
Qual è “il meglio” dell’illuminismo che il Concilio riscatta?
Il Concilio, al contrario di quanto sostenuto dagli esponenti della posteriore deriva illuminista, mostra che la fede non disconosce l’autonomia del secolare, e che apporta nuove ragioni allo sviluppo umano. Il Cielo feconda la Terra, la spinge sapientemente verso il suo sviluppo integrale, la eleva, la purifica.
Il Concilio afferma l’autonomia della conoscenza della natura e della storia, la teologia non pretende sostituire le scienze umane, sopraeleva la conoscenza mettendola nella luce della fede. Pertanto, non si sente in conflitto con le scienze naturali, bensì ne rispetta l’essenziale autonomia. In secondo luogo, il Concilio riafferma i diritti umani. Si noti che molti cattolici, figure di peso come Maritain e Teilhard de Chardin, sono presenti al momento della formulazione della dichiarazione sui diritti umani proclamata in sede Onu e l’appoggiano.
L’illuminismo deista aveva fondato i diritti umani in Dio, tanto nell’Assemblea costituente francese come nella Dichiarazione d’indipendenza americana. Nella modernità, l’illuminismo che aveva affermato i diritti umani in forza della sua posizione razionale, perde il suo riferimento a Dio in ampi settori, e di conseguenza abbandona il valore fondante della legge naturale su cui poggiano tali diritti.
Indubbiamente la Chiesa non è mai stata quella caricatura che ha voluto rappresentare l’illuminismo, ma talvolta ha assunto forme storiche che hanno alterato e deturpato il suo genio o che hanno dato pretesto a chi voleva raffigurare la Chiesa come essa non è. Che queste forme non le fossero inerenti è chiaro, tra le molte ragioni anche per il semplice fatto che il Concilio è stato possibile. Pensando l’uomo senza Dio, anche la legge si trasforma in una norma che ogni soggettività individualmente intesa pone da sé e per sé: «Io sono la legge». In questo modo non può più esserci una legge universale, perché l’universale sarà in ogni caso estrinseco rispetto al soggetto, non interno.
Da: Alberto Methol Ferré-Alver Metalli, Il Papa e il Filosofo, Cantagalli 2014