Da mercoledì, il Nicaragua, dopo molti anni di apparente “calma e ordine totale”, severamente controllato dal regime di Daniel Ortega e della moglie, Rosario Murillo, Presidente e Vice presidente rispettivamente del piccolo Paese centroamericano, è sconvolto da un’ondata di forte violenza in diverse città del Paese e sino a questo momento sono almeno 25 i morti negli scontri tra i manifestanti e la polizia governativa.
Lunedì scorso il governo di Daniel Ortega ha annunciato un aumento dell’ammontare dei contributi che i lavoratori devono pagare per la loro futura pensione. I dipendenti dovrebbero aumentare questo contributo dal 6,25 al 7% dello stipendio e i datori di lavoro dal 19 al 22,5%. Anche gli attuali pensionati dovrebbero contribuire a rifinanziare il sistema, in crisi, con il 5% della propria pensione.
Questa decisione ha portato alla formazione di un’insolita opposizione che raggruppa sotto interessi concordanti i lavoratori in generale, i pensionati, i disoccupati e gli imprenditori.
Di fronte alla gravità della situazione sociale nel Paese, secondo alcune agenzie, il Presidente Ortega avrebbe dichiarato la sua disponibilità a negoziare la questione con tutte le parti coinvolte.
Diversi vescovi e anche le autorità della Conferenza Episcopale hanno condannato duramente la repressione poliziesca e il comportamento del governo. L’arcivescovo della capitale, Managua, cardinale Leopoldo Brenes, ha lanciato un accorato appello al dialogo e ai negoziati, appello che il governo di Ortega ha detto di accettare promettendo di creare le condizioni per incontrare tutte le parti. La Chiesa locale si è schierata dalla parte delle proteste e in particolare dei più giovani che sono il motore sociale delle manifestazioni iniziate mercoledì.