Qualche giorno dopo il rientro del Papa dal Sudamerica, lo scorso 22 gennaio, c’era già nell’aria qualcosa di indefinito che però ha fatto immaginare e ipotizzare a molti che la vicenda Barros avrebbe avuto un “seguito” piuttosto corposo. Ai più attenti è apparsa da subito molto promettente la totale apertura di Francesco e la sua dichiarata disposizione, confermata più di una volta, a cambiare opinione di fronte a nuovi elementi, comprovati e convincenti. Sull’aereo aveva così concluso le sue considerazioni sulla questione: «Perciò, la cosa migliore è che chi crede che sia così (colpevolezza del vescovo, N.d.R), porti rapidamente le evidenze. Se onestamente pensano che sia così. Io in questo momento non credo che sia così perché non ce ne sono, ma ho il cuore aperto per riceverle».
Come abbiamo ampiamente visto e analizzato in questi giorni, mons. Charles Scicluna e p. Jordi Bertomeu sono andati in Cile a fare quanto aveva chiesto loro il Papa: hanno ascoltato, a lungo e con attenzione, diverse persone, laici ed ecclesiastici, vescovi e preti, vittime, persone coinvolte in altri casi di abusi da parte di salesiani e maristi; hanno ricevuto e raccolto un’enorme quantità di documenti, testimonianze scritte (anche inedite) e, al margine dei parametri ufficiali della loro delicata missione, hanno ascoltato anche altre opinioni, provenienti da fonti ed esperienze differenti. E ora cosa potrebbe succedere?
1.Un primo rapporto. Certamente la prima cosa e la più importante è il rientro in Vaticano degli Inviati, l’udienza di lavoro con il Santo Padre e la consegna di un primo rapporto scritto che potrebbe essere perfezionato e approfondito con successivi documenti da consegnare in tempi piuttosto brevi. Come nel caso di tutte le questioni delicate e importanti per Papa Francesco il criterio non è “l’urgenza” (quella spasmodica che porta a errori) bensì “la priorità” che consente di agire rapidamente ma con riflessione.
2. Passaggio di un “no” a un “si”. Gli Inviati devono dare al Papa elementi convincenti, oggettivi e magari definitivi su una domanda unica e precisa: mons. Juan Barros ha coperto o no gli abusi di padre Karadima, come sostengono i suoi accusatori? Sino ad oggi le autorità ecclesiastiche del Cile e del Vaticano a questa domanda hanno risposto con un perentorio “no”. Dopo la visita in Cile di Papa Francesco sarebbero sorti nuovi elementi, ora raccolti e documentati dagli Inviati papali, che potrebbero far diventare “si” ciò che per anni è stato un “no”.
3. La critica sposta il target. Se la conclusione dell’indagine dovesse confermare l’innocenza di mons. Barros la Chiesa chiuderà ufficialmente e definitivamente il caso, ma si può stare certi che in Cile la vicenda non sarà considerata finita: le molteplici azioni dei denuncianti si concentreranno su Papa Francesco, individuato come una persona che condanna a parole gli abusi ma nei fatti partecipe alla strategia della copertura. Oppure, ancor più grave, potrebbe essere accusato – pur avendo appurato l’eventuale innocenza del vescovo di Osorno – di non voler agire alla radice del problema, saldatasi in decenni di silenzi, omissioni, complicità, che è quella dell’incapacità della Chiesa di gestire i casi di abusi sessuali commessi da membri del clero. Si verrebbe a creare così, specie da parte dei media internazionali, un quadro molto delicato per il pontificato di Francesco, sotto tiro pesante da diverse settimane proprio su questa materia.
4. Rinuncia di mons. Barros. Se le conclusioni riterranno che mons. Juan Barros, vescovo di Osorno, è colpevole di quanto viene accusato da tempo, le conseguenze possono essere molte e di natura differente. Le più importanti sono due: la prima è la rinuncia in tempi ravvicinati del vescovo. La seconda, più complessa e articolata, potrebbe essere l’avvio di una sorta di “istruttoria” sull’operato degli ultimi due arcivescovi di Santiago, l’attuale cardinale Ricardo Ezzati e l’emerito, card. Francisco Javier Errázuriz. In questo procedimento, non facile da immaginare nella sua forma, sarebbero inclusi numerosi altri ecclesiastici che hanno avuto a che fare con questa vicenda dagli anni ’70 in poi. Non è plausibile ipotizzare dei “processi” quanto piuttosto dei discreti e graduali allontanamenti, anche perché quasi tutti i protagonisti sono ormai prelati anziani. Ovviamente se in un qualche modo si configurasse una situazione di questo tipo la Chiesa cilena si troverebbe di fronte a un vero terremoto.
5. Silenzio stampa per abbassare l’attenzione dei media. Alcuni organi di stampa cileni ipotizzano in queste ore uno sviluppo singolare, che con ogni probabilità non sarà possibile, e cioè una sorta di “silenzio stampa” prolungato a oltranza, quasi per fare dimenticare la vicenda, come avvenuto di recente nel caso del Consigliere di Nunziatura a Washington, mons. Carlo Alberto Cappella, accusato dalle autorità canadesi e statunitensi di violazione delle norme in materia di immagini pedopornografiche, sotto processo in Vaticano da settembre dell’anno scorso. Vicenda sulla quale da cinque mesi non si nulla tranne qualcosa riportata su testate canadesi.