Nelle strade di asfalto delle città brasiliane, ma anche in quelle cibernetiche delle reti sociali, la discussione continua ad essere incandescente. Non c’è stata praticamente settimana, negli ultimi mesi, in cui una parte della società brasiliana non abbia manifestato a favore o contro Luiz Inácio Lula da Silva al ritmo delle rivelazioni o delle sentenze giudiziarie dell’Operação Lava-Jato (Operazione Autolavaggio). Il culmine è stato raggiunto il 24 gennaio con la condanna in appello dell’ex presidente che ha governato il Brasile per otto anni tra il 2003 e il 2011 e che vorrebbe tornare a farlo. Giustizia permettendo, perché Lula, come si sa, è accusato di aver ricevuto un appartamento tri familiare, nella città litoranea di Guarujá, a San Paolo, come tangente per contratti assegnati all’impresa edile OAS dalla società petrolifera statale Petrobrás. Per giunta la sentenza condannatoria da poco emessa, che inizialmente prevedeva 9 anni e mezzo, è stata aumentata a 12 anni e un mese di reclusione. Salvo un ultimo ricorso, che la parte condannata può ancora invocare.
Per la Chiesa brasiliana non sono stati mesi tranquilli. I vescovi sono divisi tra loro quanto al giudizio da dare sulla tempestosa contingenza politica, come del resto lo è la società. E non potrebbe essere altrimenti. Quanto sia profonda la divisione – gli argentini la chiamerebbero “grieta” -, dove penda la bilancia quando si tratti di determinare le opinioni maggioritarie nella potente Conferência Nacional dos Bispos do Brasil è praticamente impossibile da stabilire con gli strumenti della statistica. Quello che si può notare è che i favorevoli a Lula sono i più attivi nella gerarchia brasiliana. Prova ne è che subito dopo la sentenza condannatoria, Dom Angélico Bernardino, vescovo emerito di Blumenau, nello stato di Santa Catarina, ha rilasciato diverse interviste a giornali brasiliani sostenendo senza tentennamenti che Lula è vittima di persecuzione politica e che quello che gli stanno facendo è un “affronto alla democrazia”. Ci sono tanti che vogliono completare con Lula il golpe già iniziato in precedenza, ha argomentato il vescovo, emerito dal 2009, in una intervista all’influente quotidiano Folha de S. Paulo, facendo riferimento al processo politico di impeachment che prima di Lula ha messo fuori gioco Dilma Rousseff. Tutto il ragionamento del prelato, a suo tempo delegato per il Brasile alla Conferenza di Aparecida, si fonda sulla convinzione che non ci siano evidenze contro Lula. “Non sono state fornite prove, non è stata raggiunta chiarezza. Non è sufficiente accusare qualcuno. Occorre presentare elementi consistenti e dargli ampie possibilità per difendersi in sede di giudizio”. Il vescovo critica insomma anche la mancanza di imparzialità nel processo. “Bisogna lavorare senza sosta per far sì che i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario mostrino un comportamento etico e diano prova di essere effettivamente al servizio della verità e del bene comune”. Dom Angélico vede una maniera di uscire dalle acque inquinate in cui si trova la politica brasiliana proprio permettendo a Lula di candidarsi alle prossime elezioni presidenziali e lasciando al popolo l’ultima parola: “La possibilità che Lula possa partecipare alle elezioni potrebbe calmare le acque” ribadisce. Dom Luiz Carlos Eccel, anch’egli emerito, vescovo di Caçador, nello stato di Santa Catarina, concorda nella sostanza con dom Angélico Bernardino. In un’intervista al giornale Gazeta do Povo, ha affermato che “Lula è una causa che merita di essere difesa. Se vogliono condannarlo per arricchimento illecito, devono trovare dei conti bancari intestati a lui, documenti, scritti e dati concreti”. Inoltre, si è detto “deluso e “disgustato” con politici e istituzioni del proprio paese.
Carlos Moura, segretario esecutivo della Commissione giustizia e pace dell’episcopato ha divulgato una nota in cui critica la sentenza di condanna di Lula e ne chiede la revisione: “la condanna dev’essere riformata perché non si sparga in tutto il paese la barbarie giudiziaria delle sentenze in assenza di prove concrete”. L’ipotesi di impedire all’ex presidente della repubblica, che ha lasciato il governo con l’indice più elevato di approvazione della storia politica del Brasile e che nei sondaggi di opinione è dato come il favorito, interferisce con il diritto sovrano del popolo di scegliere il proprio capo di stato e il relativo programma di governo”.
Negli stessi giorni del processo che ha condannato Lula si svolgeva a Londrina il 14º Incontro Interecclesiale delle Comunità di Base. I lavori, a cui partecipavano circa 3 mila tra vescovi, religiosi, consulenti e operatori delle comunità di tutto il Brasile e dell’America Latina, sono stati sospesi ed è stato fatto un minuto di silenzio “per la democrazia” appena la sentenza condannatoria è stata resa nota. Nel salone principale del raduno è stato anche affisso uno striscione con la scritta “L’elezione senza Lula è una frode”, che è rimasta esposta fino al termine dei lavori.
Se c’è chi si schiera senza mezzi termini con l’ex sindacalista trascinato sul banco degli imputati e quasi a fine corsa come politico dalle aspirazioni presidenziali, altri presuli della CNBB non sono affatto sulla stessa linea. Con toni e accenti diversi accusano lo storico leader del Partito dei Lavoratori di aver politicizzato irrimediabilmente le istituzioni. Dom Orani Tempesta, cardinale di Rio de Janeiro, ribadisce che a giudicare Lula debbano essere i giudici e “le loro decisioni devono essere rispettate”. Per il cardinale già anfitrione del primo viaggio papale in America Latina, il destino dell’ex-presidente si può dire che sia scritto nella costituzione. “Non è il numero dei voti ottenuti da chi è stato eletto e neppure se abbia realizzato cose positive per il paese a stabilire se un gruppo di giudici sia o no abilitato a processarlo. Sono le prove, le accuse. I giudici hanno il dovere di giudicare”. Dom Odilo Scherer, cardinale di San Paolo, ritiene che il momento che il Brasile attraversa non sia poi così negativo come viene dipinto: “Abbiamo vissuto un periodo difficile durante il quale sono venuti alla luce molti fatti, che nel passato erano stati occultati. È questo l’unico modo per correggere certe distorsioni, certe immoralità, certe forme di corruzione, certe deviazioni nel comportamento all’interno della vita sociale, della vita economica e della vita pubblica”. Per Scherer, anche questo momento turbolento porta con sé una speranza nel futuro. “Forse, di fronte a una tale quantità di malefatte potremmo sentirci scoraggiati e abbattuti ma, nel momento in cui si inizia a guardare in faccia la realtà, a svelare fatti nascosti e a prendere provvedimenti per sanare una situazione, significa che stiamo percorrendo la strada giusta”, ha affermato. Sulla stessa lunghezza d’onda sembra muoversi Dom Jaime Splenger, arcivescovo di Porto Alegre, che aveva affidato la sua opinione in un’intervista all’agenzia Vatican News prima che la condanna di Lula fosse ratificata: “Nel caso in cui ci siano elementi che veramente pregiudicano l’azione di chi è stato presidente della Repubblica e che, di conseguenza, meritino una condanna, allora che così sia. La giustizia vale per tutti”. Dom Sérgio da Rocha, presidente della CNBB e cardinale di Brasilia, punta a trovare un equilibrio tra le due linee di pensiero: “Ogni persona ha il diritto di difesa in qualsiasi situazione e questo è il principio di un’autentica giustizia, in tutti gli aspetti e in ogni istanza” afferma. “È ovvio che dobbiamo fare attenzione a rispettare l’ordine costituzionale, pertanto, è necessario che la Chiesa sia vigilante sul momento che viviamo”.
Traduzione dal portoghese di Veronica Battista