Avranno tutto il tempo per fare le valigie, 18 mesi da questo momento, ma per oltre duecentomila salvadoregni il sogno americano è finito e dovranno tornare a casa. Lo ha deciso il presidente Trump che ha cancellato il programma– TPS in sigla – creato nel 1990 con il quale gli Stati Uniti avevano autorizzato quote di immigranti dai paesi colpiti da conflitti armati o da calamità naturali. El Salvador, con Honduras, Nicaragua e Haiti erano tra i beneficiati, ma adesso le cose sono cambiate e per chi si è stabilito negli Usa è cominciato il conto alla rovescia. Per rendere più dolce lo sfratto l’amministrazione statunitense distribuirà – e ha già iniziato a farlo – un manuale che illustra la portata del provvedimento di revoca del TPS con tanto di dati sul paese d’origine che nel caso di El Salvador viene descritto come uno dei più violenti al mondo, in cui operano le bande MS-13 e Barrio 18, e in cui le rapine e le estorsioni sono reati comuni. Otto paginette che raccomandano gli ospiti, molti nati in territorio USA, di congedarsi benevolmente espletando le pratiche necessarie prima di dire addio al paese che dal 2001 ha dato loro permessi di lavoro temporanei.
Il manuale per i salvadoregni messi alle porte include istruzioni per ottenere un passaporto salvadoregno sul suolo statunitense e per i cittadini statunitensi minorenni, nati per lo più negli Stati Uniti, indicazioni per ottenere il primo passaporto o rinnovare eventualmente quello scaduto. Il manuale offre anche un elenco dei documenti che i genitori di bambini statunitensi devono avere con sé quando si metteranno sulla via del ritorno (certificato di nascita, di patria potestà, il registro scolastico e quello delle vaccinazioni fatte) e dà spiegazioni su come accedere a benefici federali al di fuori degli Stati Uniti per i bambini americani di genitori salvadoregni, che all’anagrafe statunitense sono circa 192 mila. Il manuale – e sembrerebbe una beffa – include anche raccomandazioni per la sicurezza nel viaggio di ritorno, tipo: evitare di camminare di notte in qualsiasi parte di El Salvador, non fermarsi nei punti panoramici e turistici, guidare con i finestrini chiusi e le porte bloccate o evitare i mezzi pubblici, specialmente gli autobus.
Alla fine del 2016 i salvadoregni che beneficiavano del TPS erano 263,282, certificati dal Servicio de Ciudadanía e Inmigración. Dall’assunzione di Trump diverse migliaia sono rientrati in El Salvador ma il grosso è rimasto negli Stati Uniti dove risiede la comunità più numerosa fuori dei confini nazionali, con quasi due milioni di residenti concentrati soprattutto in California, Texas, New York, Maryland e nel distretto di Columbia.
La fine del TPS per i salvadoregni segue i passi che l’amministrazione Trump aveva già intrapreso con il Nicaragua, Haiti o il Sudan, nella linea di porre fine ai programmi temporanei di protezione, in controtendenza rispetto alla politica immigratoria degli ultimi 16 anni, incluse due amministrazioni repubblicane. Gli ultimi ad essere cancellati sono stati i benefici a 5.349 immigrati provenienti dal Nicaragua, mentre sono stati estesi di sei mesi agli immigrati dall’Honduras, che a luglio perderanno i loro permessi di vivere e lavorare sul suolo statunitense.
Da questo momento l’orologio comincia a scorrere per i salvadoregni, che entro settembre 2019 dovranno andarsene dagli Stati Uniti. Ma corre anche per il governo del piccolo paese centroamericano terra del beato Romero, egemonizzato dalla vecchia guerriglia del Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale, che ha adesso una nuova battaglia davanti a sé. Quella di accogliere e reintegrare una massa di connazionali che non è al momento preparato per accogliere. Basti pensare che i programmi di reinserimento disposti dal governo – la fonte è del ministero degli Esteri di El Salvador – sono riusciti a coprire solo 5 mila dei 39 mila salvadoregni che gli Stati Uniti hanno deportato tra il 2016 e il 2017.