La guerra è finita, ma non per tutti. Il paradosso colombiano è proprio qui, che ai caduti negli scontri tra guerriglia ed esercito, o/e tra la prima e le milizie paramilitari, si è sostituita una decimazione silenziosa di altro genere che però non è estranea al lungo conflitto. Lo denuncia un rapporto dell’organizzazione non governativa della Colombia “Somos Defensores” reso noto in questi giorni. “Quello che nel 2016 sembrava una cattiva premonizione oggi è una realtà complicata” si legge nel rapporto intitolato “Svegliati, ci stanno uccidendo”: “C’è un importante incremento di omicidi e attacchi contro la vita e l’integrità fisica di difensori e difensore dei diritti umani in Colombia”. Seguono le cifre, crude, a dar ragione ai denuncianti: nel primo semestre del 2017 sono stati assassinati 51 leader sociali nel paese: indigeni, contadini, sindacalisti.
Più nel dettaglio il rapporto evidenzia che l’aumento delle eliminazioni rispetto allo stesso periodo del 2016 è stato del 31%. “Si è passati da 35 casi segnalati nel primo semestre dello scorso anno a 51 nello stesso periodo del 2017”. In sette casi le vittime sono state sequestrate prima di essere uccise. I corpi di sei mostravano anche segni di tortura e crudeltà. Le morti, in gran parte (80%), sono state pianificate. Di questi omicidi, l’86% delle vittime erano uomini (44 casi) e il 14% donne, sette dunque, cinque in più di quelle assassinate da gennaio a giugno 2016. Esaminando le biografie degli uccisi si nota che i più colpiti sono stati leader di comunità locali (soprattutto quelli residenti nelle aree rurali) e contadini (con il più alto numero di omicidi: 28 su 51). Quanto ai responsabili della strage “Somos Defensores” fa notare che mentre il governo insiste sulla dissoluzione del paramilitarismo, chi sporge denuncia di minacce o sequestri addita elementi appartenuti alle milizie paramilitari tra i responsabili nel 59% dei casi denunciati, e soggetti non identificati nel 32%.
Si tratta di una violenza che in Colombia non è nuova – fanno notare gli estensori del rapporto – ma “adesso, con il silenzio delle armi delle FARC, questa violenza si è concentrata ancora di più contro attivisti dei diritti umani”.
Fin qui il rapporto. “Cosa c’è dietro quello che sta succedendo” si interroga la principale rivista della Colombia, “Semana”, che raccoglie e rilancia la risposta di don Ceferino Mosquera Murillo, Presidente della Confederazione delle Giunte d’azione comunitaria: “Oggi i leader sociali sono in pericolo a causa di coloro che vengono a occupare i territori lasciati dalle FARC; e lo fanno a sangue e fuoco”. Mosquera, che rappresenta migliaia di leader delle comunità del paese, insiste sul fatto che contrariamente a quanto si potrebbe pensare nel post-conflitto i rischi per i dirigenti dei movimenti sociali e popolari persistono.
La questione è se lo Stato riuscirà ad intervenire nei conflitti locali di tutti i giorni che erano solite risolvere le FARC “in un modo dispotico, ma efficace”, sottolineano Ariel Ávila e Jorge Eduardo Londoño nel libro da essi scritto “Seguridad y justicia en tiempos de paz”.
E ‘noto che i conflitti tra vicini di casa che non potevano essere risolti negli spazi rappresentati dalle Giunte d’azione comunitaria erano elevati ad un Consiglio di sicurezza presieduto dal comandante della guerriglia della zona, che “controllava il furto e manteneva gli standard del vivere in comunità e in generale garantiva il funzionamento delle varie economie illegali e informali “, spiegano i ricercatori Patricia Bulla e Sergio Guarín in una loro ricerca sul fenomeno. E’ chiaro che in questi contesti la sicurezza non può essere garantita con il solo controllo militare territoriale quando anche ci fosse. Deve andare oltre e affrontare le sfide di prevenire e risolvere i problemi di sicurezza e di convivenza che devono affrontare le persone nella loro vita quotidiana. E che non ricevono la ” la stessa attenzione da parte delle autorità”.