CUBA E LE DOGLIE DELLA SUCESSIONE. Nove mesi per dare alla luce una creatura chiamata Governo. Fin dove arriverà il ricambio di Raúl Castro e della vecchia guardia?

Raúl Castro e il vicepresidente Miguel Díaz-Canel
Raúl Castro e il vicepresidente Miguel Díaz-Canel

Mancano solo nove mesi al momento in cui il Parlamento dovrà eleggere un nuovo Consiglio di Stato e un nuovo leader. Durante il periodo di gestazione di questa creatura, un’infornata di volti più giovani avrà accesso alla sala di comando del Paese. Quanti e fino a che punto saranno riformisti? Quanto potere avranno veramente?

Uno dei maggiori problemi che affronta il Governo cubano oggi come oggi è radicato nell’invecchiamento delle sue figure preminenti: si ascoltano spesso dentro e fuori l’Isola critiche al fatto che la Nazione è governata da una gerontocrazia, una situazione questa che Raúl Castro sembra essere intenzionato a cambiare.

Nel VII Congresso del Partito Comunista di Cuba (PCC), realizzato nell’aprile del 2016, furono approvate risoluzioni politiche “in materia di scadenze e di limiti d’età per occupare incarichi direttivi nelle istituzioni statali e governative”. Dal punto di vista della così chiamata “Generazione Storica” questa decisione non finisce di essere rischiosa quanto alla continuità del sistema. La nuova politica, in attesa di riflettersi nella Costituzione della Repubblica, limita “a un massimo di due periodi consecutivi di cinque anni il disimpegno degli incarichi politici e statali d’importanza” e stabilisce “60 anni come età massima” per entrare nel Comitato Centrale del PCC e “fino ai 70 anni per svolgere incarichi in direzione” nel Partito. La stessa disposizione deve anche “essere applicata nelle istituzioni statali, governative e nelle organizzazioni di massa”, dove abbondano i settantenni e ottantenni che hanno costruito feudi di potere e di influenze, più basati sui loro trascorsi che sulle loro capacità.

Anticipare la lista dei nomi di chi entrerà a far parte del prossimo Consiglio di Stato può risultare affrettato, ma se si compiono gli accordi alla lettera, è almeno possibile sin da ora individuare chi saranno quelli che dovranno restituire le chiavi dell’ufficio nel Consiglio di Stato. Per questioni d’età dovranno lasciare le poltrone Raúl Castro Ruíz (1931), i vicepresidenti José Ramón Machado Ventura (1930), Ramiro Valdés Menéndez (1932), Salvador Antonio Valdés Mesa (1945) e Gladys Bejerano Portela (1947). Con eccezione di quest’ultima, il resto ha compiuto in carica due periodi consecutivi di cinque anni, cosa che li inabilita a proseguire. Il calendario, inconfutabile nella sua precisione temporale, condanna alla cessazione di quest’organo del Governo anche Guillermo García Frías (1928), Miguel Ángel Barnet (1940), Álvaro López Miera (1943), Adel Onofre Yzquierdo Rodríguez (1945) e Leopoldo Cintra Frías (1947).

Fino ad ora l’unico che ha annunciato il proprio ritiro è stato Raúl Castro, ed inoltre, le politiche approvate nel conclave del partito non sono state ancora introdotte nella Costituzione e neppure sono divenute Legge Elettorale così da rendere obbligatorio quello che fino ad ora è stato solo “raccomandato”. Tale scenario insospettisce su quello che potrà accadere il prossimo 24 febbraio. A tutto ciò si aggiunge il fatto che la presenza nel Consiglio di Stato non è la unica fonte di potere di cui dispongono i condannati dal dio Kronos. Fino al momento di celebrare l’VIII Congresso del Partito, previsto per aprile 2021, potranno prendere parte alle più importanti decisioni dalle loro posizioni nel Bureau Politico o nel Comitato Centrale del PCC. Non è neppure stato specificato se i limiti d’età o di tempo esercitando una responsabilità elettiva sono applicabili alle cariche di ministro o dirigente di qualche impresa o istituzione, un possibile destino per diversi dei “pensionati” che ricoprono le più alte posizioni. I più ottimisti scommettono che le cariche lasciate da chi si ritirerà saranno occupate da un fiume di giovani riformisti, ma neppure in questo improbabile scenario, il nuovo gruppo che giungerà al potere potrà resistere facilmente alla camicia di forza rappresentata dalla Concettualizzazione del Modello, dal Piano fino il 2030 e dalle Linee Guida del Partito.

Cosa si può sperare allora da un ringiovanito Consiglio di Stato, questa creatura che verrà alla luce tra nove mesi? Tanti compiti da risolvere e meno pedigree storico a cui fare appello nei discorsi. Sul piano economico toccherà loro trovare una soluzione al dualismo monetario, elaborare nuove concessioni che favoriscano l’investimento straniero e che aprano maggiori spazi agli imprenditori nazionali. Neppure il contesto internazionale sarà favorevole, con un Venezuela che affonda ogni giorno di più negli abissi del caos istituzionale e político; un presidente statunitense che non sembra interessato ad accelerare il processo di normalizzazione diplomatica con l’Isola e la inoccultabile ritirata dei governi di sinistra in America Latina.

Questi successori riceveranno un Governo pressato da varie parti perché depenalizzi il dissenso, autorizzi la nascita di altre forze politiche, riformuli la Costituzione e approvi una nuova Legge Elettorale. Un eccessivo controllo su questi giovani pargoli legherebbe loro le mani rendendo difficile qualunque riforma, ma d’altra parte allentare il controllo della vecchia guardia affonderebbe il sistema.

Raúl Castro sa che la creatura che nascerà tra nove mesi potrebbe provocare la continuità o la rottura del sistema che cominciò con suo fratello nel gennaio del 1959. Teme questi giovani che si siederanno sulla sua sedia, ma ha bisogno di loro.

*Giornalista cubano
Traduzione dallo spagnolo di Silvia Prizio

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