Le decisioni prese dal Tribunale Supremo di Giustizia nella Corte Costituzionale in data 28 e 29 marzo del presente anno (Sentenze 155 e 156) rappresentano un chiaro colpo di Stato e lo smascherarsi definitivo del governo come una dittatura. Noi della rivista SIC e del Centro Gumilla, fedeli alla nostra condizione di strumenti in difesa della democrazia come sistema di convivenza dei venezuelani e come sistema che, pur con i suoi difetti (che molte volte noi stessi abbiamo segnalato), garantisce la salvaguardia dei diritti umani, ci opponiamo come cittadini a questo abuso da parte di un gruppo di militari e civili che, con l’unica intenzione di proteggere i loro interessi particolari e la loro ambizione di potere, hanno soggiogato tutta la società venezuelana.
Già varie volte abbiamo segnalato nei nostri editoriali il processo di degrado dell’attuale governo e della politica in generale in Venezuela. Le situazioni di fame, repressione, mancanza di assistenza medica e di medicinali di prima necessità, che abbiamo definito come crisi umanitaria in un paese in cui tali circostanze risultano inspiegabili, possono essere lette, in fondo, come una politica esplicita di sottomissione della popolazione, il cui obiettivo è stato ed è evitare la sollevazione popolare davanti a un “auto colpo di stato”.
Allo stesso modo, i continui arresti di vari politici venezuelani, che recentemente hanno incluso un deputato supplente del parlamento, sono stati segni delle decisioni che già erano state prese. Le libertà sono state violate con forza sempre maggiore, e questo ha incluso la chiusura di vari mezzi di comunicazione; tra di essi vale la pena ricordare la chiusura di CNN e le nuove minacce di chiudere Globo VisiOn. Anche il disprezzo con cui si è trattata la comunità internazionale, cominciando dallo stesso Vaticano nella persona del Segretario di Stato Cardinale Pietro Parolin, quando ha inviato una lettera al governo venezuelano segnalando le violazioni degli accordi raggiunti nel frustrato dialogo della fine dell’anno 2016. Questo stesso trattamento lo hanno ricevuto anche il Mercosur e la OEA e ci si può aspettare che si ripeta in altre istanze.
Entrambe le sentenze del Tribunale Supremo di Giustizia non sono altro che una conferma dell’atteggiamento assunto dal Governo davanti alla sconfitta elettorale sofferta nel dicembre del 2015 e che consistette nel puro disconoscimento degli effetti del risultato, nella negazione della volontà popolare e nel non sottostare alle regole democratiche. Fin dall’inizio si è usato come testa d’ariete il Potere Giudiziario (indubbiamente nominato in modo illegittimo) per cercare di dare un’apparenza di legalità ai provvedimenti, ma col passare del tempo la maschera si è degradata fino ad arrivare a questa necessità di formulare una decisione che rappresenta una chiara violazione della Costituzione che in teoria ha la pretesa di difendere. E’ evidente che la forza di tali decisioni si fonda sulle armi possedute dal gruppo che esercita l’attuale dittatura, sia del settore militare che dei gruppi civili armati, e con l’appoggio di Cuba come Stato che ha contribuito con il suo efficientissimo sistema di vigilanza e controllo.
Ci troviamo ad affrontare una dittatura come cittadini e come cristiani. Abbiamo presenti le disposizioni degli articoli 333 e 350 della Costituzione, che ci esigono di fare tutto quello che dipende da noi per ristabilire le libertà. Si tratta di agire come cittadini attraverso la protesta pacifica, senza armi, senza violenza e resistendo all’abuso del potere. Si tratta di usare la parola e la ragione, malgrado le sia difficile trovare la sua strada in tempi di turbolenza. Si tratta di non cadere nel ricatto della forza e far valere i nostri diritti e il diritto a una soluzione democratica ed elettorale.
Come cristiani ci tocca accompagnare questo ormai lungo venerdì santo che il nostro popolo ha vissuto. La fame continua ad essere presente, così come la mancanza di medicine, le operazioni violente della OLP (Operación Liberación y Protección del Pueblo lanciata dal governo per militarizzare alcuni settori di Caracas, N.d.T.), la cattiva qualità dei servizi pubblici o la loro scomparsa, l’insicurezza, aggiungendosi ad altri mali di lunga data e aggravandoli. Ma siamo coscienti che questo passo dato dal Tribunale Supremo di Giustizia rappresenta una nuova stazione in questa via crucis del popolo venezuelano, un’altra spoliazione, un’altra spina, un altro colpo in questa strada tortuosa che percorriamo da vari anni.
In un contesto di via crucis sono vitali le presenze di Cirenei che aiutano a portare la croce, di Veroniche che asciugano il volto, di Marie che danno forza nel camino e di guardie che riconoscono in mezzo al dolore la presenza di Dio. Però non vogliamo restare nella passione, perché questo non è cristiano; piuttosto, pur essendo coscienti della passione e del fatto che forse ci toccherà soffrire per seguire la verità, così come Cristo, allo stesso tempo cerchiamo la risurrezione che è – alla fine – il trionfo della Verità de della Vita.
Vogliamo camminare verso la vera libertà che implica riconoscerci tutti come membri di una comunità politica che rispetta i diritti di tutti, che permette reali strade allo sviluppo, che favorisce una solidarietà autentica. Questo ha bisogno della democrazia formale come un elemento imprescindibile, seppur insufficiente. Rispetto per lo Stato di Diritto, divisione dei poteri, legittimità del parlamento come istanza di controllo e di decisione democratica.
*Il Centro Gumilla è un istituto di ricerca e azione sociale della Compagnia di Gesù fondato nel 1968. Pubblica la rivista SIC, da 70 anni dedicata all’analisi economica, sociale, politica e culturale del Venezuela
Traduzione dallo spagnolo di Francesca Casaliggi