CONFESSIONI DI UN CONFESSORE. Nel giorno del compleanno di Benedetto XVI – e un giorno prima di quello del sacerdote capuccino Luis Dri – ecco un estratto del capitolo “I peccati dei preti” in uscita ad agosto anche in lingua spagnola

Quaresima 2007: Benedetto XVI confessa nella basilica di San Pietro
Quaresima 2007: Benedetto XVI confessa nella basilica di San Pietro

«È forse giunto il momento di dire qualcosa su di me e sul mio passato, non perché la mia vita abbia qualcosa di straordinario o degno di nota, anzi. È la vita di un povero frate. Ma può essere utile per capire come sono arrivato fino a qui e come il Signore mi abbia chiamato al suo servizio. Sono nato il 17 aprile 1927, nello stesso anno e mese di Benedetto XVI, essendo di un giorno più anziano di lui…». Inizia così il racconto della vita di padre Luís Dri, il capuccino argentino divenuto famoso per i riferimenti che gli ha dedicato Papa Francisco in differenti occasioni, l’ultima giovedì 2 marzo, all’inizio del tempo di Quaresima per la Chiesa, quando ha regalato il libro che ne raccoglie l’esperienza ai sacerdoti di Roma. “Non avere paura di perdonare” verrà pubblicato prossimamente il lingua spagnola dalla casa editrice San Pablo di Buenos Aires. Nella ricorrenza del 90° compleanno del sacerdote capuccino, che coincide con quello di Benedetto XVI, pubblichiamo alcuni frammenti del capitolo “I peccati dei preti.

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Dopo la pubblicazione del libro-intervista al Papa “Il nome di Dio è misericordia” capita che vengano persone a chiedermi se io abbia confessato Bergoglio nei suoi anni da arcivescovo di Buenos Aires. Quello che posso dire è che ci sono persone che sono venute a confessarsi da me mandate dal cardinale Bergoglio. Più di una volta il cardinale ha consigliato dei sacerdoti, per qualche problema che considerava delicato o per altre ragioni che sapeva solo lui, di venire a parlare con me. Delle volte mi ha chiamato per avvisarmi: “Ti mando gente e tu la ricevi, però non ti avverto prima”. Non era neppure necessario che mi avvertisse previamente per dirmi chi mi stava mandando perché le persone che venivano da parte sua si identificavano fin dal loro arrivo: “Mi ha detto di venire a parlare con lei, io non la conoscevo però ha voluto che venissi…”.

A volte ci sono di mezzo questioni di donne. Ci sono solitudini che accentuano le fragilità, dove il vuoto del cuore va riempito con qualcosa e questo a volte può essere la relazione con una donna. Il più delle volte sono giovani che aiutano in parrocchia o che fanno le segretarie o che hanno altri compiti nelle varie attività che fanno capo ad una parrocchia. Un’altra fonte di tentazione è rappresentata dalla direzione spirituale che il sacerdote esercita, che favoriscono vicinanze tali che possono sconfinare in affettività sentimentali di cui si perde il controllo. Per dirla scherzosamente sono come il Credo: iniziano con Dio Padre onnipotente e terminano con la… resurrezione della carne!

Quando mi capitano questi casi, faccio appello alla bellezza della vocazione e alla sua utilità per la vita di tutti gli uomini, che è quella di mostrare un uso più soddisfacente dei beni della vita, materiali e affettivi. Chiedo anche a questi sacerdoti di rispettare chi si affida a loro, cerco di far capire che trascinano nel loro peccato anche un’altra persona. Nella lotta spirituale per vincere queste tentazioni San Giacomo apostolo vede un grande merito: «Chi salva un’anima, salva la sua propria anima». Sempre consiglio a chi ha di queste cadute – frequentemente giovani sacerdoti – o è seriamente minacciato da esse di pregare davanti a Gesù sacramentato.

Non so però se si possa concludere che le generazioni più giovani mostrano anche una maggiore fragilità affettiva rispetto a quelle diciamo così “più stagionate”. La mia esperienza non mi permette di affermare categoricamente che sia così. Penso anch’io – per dirla con San Leopoldo Mandic – che “Il demonio non rispetta i capelli bianchi”. Il diavolo non perde tempo: quando uno si muove verso Gesù, comincia a dar segni di capirlo e voler avvicinarsi a lui, questo è anche il momento in cui il demonio diventa più caparbio con le tentazioni. O più insidioso. Dobbiamo esserne coscienti perché essere superficiali a questo livello induce molte conseguenze negative. Voglio aggiungere che tra le tentazioni ce n’è una forse più dannosa per sé e per gli altri che le donne. Quando qualcuno mi dice che non c’è nulla che lo entusiasmi, che non c’è nulla che gli provochi interesse. L’astio per la vita, l’apatia e l’accidia per tutto ciò che è religioso, non sperimentare più gusto verso nulla, lo scoraggiamento, il non sapere perché e che cosa si fa.

Questa è una delle situazioni più difficili. Sebbene ci siano tanti sacerdoti davvero ferventi, ce ne sono altri che attraversano queste crisi. Bisogna aiutare, sospingere avanti, motivare, incoraggiare… Alcuni, a dire il vero, non si sentono accompagnati dai loro superiori, specialmente i preti del clero secolare spesso lasciati a se stessi. Come tirar fuori da questo pozzo oscuro di apatia qualcuno che dice: “Non c’è niente che mi attrae!”, “Non c’è niente che mi entusiasma”? Come risollevare chi dice: “Non c’è niente che mi renda felice”, “Sto eseguendo e nient’altro”? Come rimettere in cammino chi non viene attratto più da niente, né dalla celebrazione della messa, né dalla predicazione, né dalla missione?

Mi permetto di ripetere spesso, soprattutto ai sacerdoti più giovani, di chiedere a Dio la chiarezza e l’energia per vivere con serietà la propria vocazione, per non ridursi ad essere mai dei funzionari dell’opera di Dio, degli impiegati della Santa Messa, dei recitatori assenti della liturgia delle Ore. Non è questione di eseguire, di assolvere i doveri che derivano dall’abito. È questione di esprimere quello che c’è nel cuore, di realizzare le convinzioni che sono brillate nella vita della vocazione sacerdotale. Domandare a Dio, pregarlo. Che conforto quello dei salmi, unendoci a Gesù che gridava al Padre la sua solitudine e il suo sconforto umani: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”.

Considero che una delle tentazioni più gravi in cui può incorrere un sacerdote sia quella di accettare di essere un esecutore, un funzionario del ministero che ha scelto di servire. Questo è orribile. A me risulta molto triste un cedimento di questo tipo, ed è penoso incontrarmi con confratelli che vivono così. Dobbiamo essere allegri. Coscienti che tutti i giorni portiamo Gesù dentro la realtà che ci si presenta davanti. La meta che abbiamo deve rifulgere e quando non brilla nella coscienza viene a meno il senso della vita e l’esistenza va alla deriva. La fede è la risposta dell’uomo a Dio che si rivela e si consegna a lui come significato di tutto dandogli allo stesso tempo una luce sovrabbondante che illumina i passi di chi cerca il senso ultimo delle cose.

Quando non si alimenta permanentemente la propria vita spirituale si inizia ad essere degli esecutori. Una vita spirituale sostenuta, rafforzata, coltivata, che si riempie di Dio davanti all’altare e che poi si trasmette agli altri è una vita feconda, che irradia il bene attorno a se. Uno può preparare molto bene i suoi discorsi, le omelie, ma se non ha Dio in sé può anche dire belle parole ma non è quello di cui ha bisogno il nostro popolo. Il popolo vuole che gli si comunichi la presenza di Dio misericordioso, l’amore di Dio, il perdono di Dio, la vicinanza del Padre che ci abbraccia e ci ama. E il popolo ha una grande intelligenza in questo senso, percepisce, palpa, quando davanti a sé ha una persona di fede (…). Mi sembra che un’altra tentazione che riguarda da vicino noi ministri sia quella di inseguire un posto, un incarico, un ruolo, di cercare di accomodarsi insomma, ma nel senso di scalare perché si vive insoddisfatti per quello che si ha. In fondo è la storia di sempre, non sono cose nuove, e nel confessionale si vedono con tutta la gamma delle sfumature che assumono nella vita di un sacerdote. Tanto da far dire al Papa che “lo spirito mondano è una tentazione che divide e distrugge la Chiesa”. Attenzione agli scalatori. Il più grande tra i figli di Dio è chi serve di più, chi è più capace di carità verso gli altri, chi non si vanagloria e non cerca potere, denaro e fama (…).Dopo aver fatto tutto quello che dobbiamo e possiamo dobbiamo dire, con Luca: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.

(…) Ci sono sacerdoti che hanno continuato a venire anche dopo quella prima volta, hanno continuato a condividere con me situazioni problematiche per anni, difficoltà che avevano nell’esercizio del loro sacerdozio o situazioni spirituali gravi, o anche ricadute in una stessa situazione su cui non posso attardarmi. Con alcuni di loro si è stabilita una grande fraternità, il rapporto è continuato nel tempo ed è cresciuto come intensità e come qualità. Io ringrazio per questo, perché sono persone ammirevoli nella loro generosità, nel loro servizio, nel loro impegno, nella donazione di se stessi al ministero che devono compiere. Buoni confratelli che magari vivevano un momento di difficoltà spirituale o pastorale nel loro ministero.

A volte vengono a ringraziarmi. Perché la situazione complicata si è chiarita, perché un nodo che incatenava la loro vita si è sciolto, perché un peso si è alleggerito, perché dei legami che invischiavano adesso non condizionano più negativamente come prima. Il loro cammino di dedicazione spirituale è più puro, il loro lavoro pastorale più intenso. Lo posso vedere, mi rendo conto di quello che dicono. Questo lo devo riconoscere a gloria di Dio. Io dico sempre che la Madonna di Pompei è madre, e quello che non fa una madre non lo fa nessun altra. Io ricorro sempre a questa figura di Madre che ci da Gesù presente, ce lo sta consegnando adesso, nel momento in cui ne abbiamo più bisogno.

Prego tutti i giorni per i sacerdoti che sono venuti a confessarsi da me. A volte mi ricordo i loro nomi. A volte no. Il confessore non è solo chi perdona i peccati in nome di Dio ma è anche chi continua ad accompagnare da lontano con la preghiera la persona che Dio ha spinto sul suo cammino e che chissà non rivedrà più. Come prego per i malati, prego per chi è caduto nel cammino della vocazione religiosa e talvolta è rimasto ferito con una certa gravità. Anche quando mi rendo conto di non esere riuscito a fare niente, che la situazione che pesava sulla loro vita non si è alleggerita, prego per loro, sempre.

Metto davanti al Signore il loro problema irrisolto perché susciti una nuova opportunità che li possa aiutare.

Da: Padre Luis Dri, con Andrea Tornielli e Alver Metalli, “NON AVER PAURA DI PERDONARE», Rai-Eri, ottobre 2016

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