Quello che si aprirà il 16 marzo in Argentina non sarà un processo come gli altri. Perché con tredici poliziotti verrà processato anche padre Eugenio Zitelli, un prete cattolico che all’epoca della giunta militare era stato cappellano delle forze armate. L’accusa è quella di aver partecipato a crimini contro i diritti umani.
E’ il terzo capitolo di una vasta indagine sulle aberrazioni commesse dalla dittatura nel centro di detenzione clandestina del “Servizio di Informazioni” presso la questura di Rosario. Il procedimento giudiziario riguarda la sorte inflitta a 155 vittime della repressione. Tra i reati contestati agli imputati vi sono l’omicidio, la privazione illegale della libertà, torture e abusi sessuali.
Secondo il procuratore Adolfo Villate, “si stima che il procedimento durerà un anno e mezzo o due” anche a causa dell’alto numero di testimoni proposti dalle parti: oltre 300.
Gli imputati hanno agito, secondo l’accusa, nel più grande centro di detenzione clandestina della provincia di Santa Fe. Si stima che in quel lager almeno duemila persone siano state fatte sparire durante i primi anni della dittatura. La vicenda, sebbene ogni paragone andrà fatto al momento della sentenza, ricorda altri casi di sacerdoti accusati di aver chiuso occhi e orecchie o di avere partecipato direttamente alla macchina repressiva.
Se è vero che vi sono stati casi di inaccettabile gravità come quello di Christian Von Wernich, l’ex cappellano della polizia di Buenos Aires condannato all’ergastolo, “ci sono stati casi di complicità, ma allo stesso tempo – ha ricordato in passato Angela Boitano, madre di due figli desaparecidos – molti preti che non si sono piegati e combattevano gli orrori del regime”.
La nera contabilità della “guerra sporca” registra almeno 18 tra sacerdoti e religiosi giustiziati o fatti sparire, tra i quali monsignor Enrique Angelelli e il gruppo di padri pallottini, assassinati tra il 1976 e il 1977, senza contare i numerosi preti arrestati e interrogati. Le colpe degli uomini di chiesa furono riassunte nel drammatico “Nunca Más”, il rapporto conclusivo, ma non definitivo, chiuso dalla Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas (Conadep), nel 1984. Vale la pena ricordare che un intero capitolo è dedicato agli “Atteggiamenti di alcuni membri della Chiesa”.
“I vescovi della Chiesa argentina hanno ripetutamente condannato la repressione che questa Commissione ha indagato”, premette il testo. “Appena due mesi erano trascorsi dal colpo di stato del 24 marzo 1976, quando la Conferenza episcopale in una Assemblea Generale definì come “peccato” i metodi utilizzati dal regime. Nel maggio 1977 la Conferenza episcopale presentò ai membri della giunta militare un documento dai toni simili”. Se la posizione dunque appariva sufficientemente chiara, “purtroppo alcuni singoli membri del clero con la loro presenza, il loro tacere o anche attraverso il coinvolgimento diretto, hanno sostenuto – si legge nel rapporto – quelle stesse azioni che erano state condannate dalla Chiesa nel suo insieme”.