Nicolás Maduro e i suoi lo hanno capito troppo tardi. C’è d’augurarsi per il popolo venezuelano che il tempo non sia scaduto. Questo dialogo che si apre domenica sarebbe dovuto partire almeno due anni fa, ma la situazione si era già talmente incancrenita che tra le parti c’era un solo comune denominatore: l’odio reciproco, a volte viscerale e irrazionale, noncurante delle sofferenze di un popolo allo stremo. Ora sarà difficile risalire la china ma non c’è alternativa. Altrimenti, governo e opposizioni, finiranno fagocitati nel buco di una pagina nera della storia del paese.
Per ora, dopo l’avvio delle consultazioni preliminari avviate ieri, e soprattutto dopo dell’Udienza di Papa Francesco al Presidente N. Maduro, tutto appare più promettente anche se l’orizzonte è colmo di insidie, molte delle quali sono il frutto avvelenato dell’odio. Per anni tutti hanno chiesto dialogo e nessun ha fatto nulla di serio per metterlo in moto.
Sono stati protagonisti esterni ad imporre questa via, l’unica percorribile, temendo il peggio non solo per il Venezuela ma per l’intera regione latinoamericana. Decisiva la comunanza di visione e intenti tra Santa Sede, il Papa, e i governi raggruppati nell’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur), guidata da Ernesto Samper. Altrettanto decisiva la collaborazione e disponibilità di tre leader prestigiosi: l’ex Premier spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero e gli ex presidenti di Panamá, Martín Torrijos della Repubblica Dominicana.
E poi fondamentali sono stati i “buoni consigli” dati al governo di Caracas da leader politici di Cuba, Ecuador, Brasile, Uruguay, Argentina, Stati Uniti e Panamá, per citarne solo alcuni.
Ma ora è arrivata l’ora della verità. E si vedono subito le crepe.
Quella parte più estremista dell’opposizione – guidata soprattutto da Enrique Capriles, attuale governatore dello Stato di Miranda, ex candidato sconfitto da Maduro nelle presidenziali – dichiara apertamente che a suo avviso “non esiste nessun dialogo” e che lui non prenderà parte a nessuna conversazione con il governo. Contesta tutto: le conversazioni, l’annuncio, la sede, la data … Capriles lancia anche un monito al Papa. “Attenzione a non parlare con il diavolo!”
Altri leader oppositori minori si lamentano di aver saputo di questo dialogo tramite i social-media e la Tv e dunque di non sentirsi coinvolti. A questo punto non si capisce allora di quale “dialogo” abbiano parlato in questi anni.
Queste posizioni estremiste sono insidiose e appesantiscono la fatica dei mediatori e dei “facilitadores”. Fallire, a questo punto, non è più un’opzione possibile né accettabile.
Questi leader si devono assumere le responsabilità accettando, se coerenti e onesti, il marchio che ne deriva: per loro la richiesta di dialogo è stata solo una manovra politica e meschina portata avanti a spesa delle sofferenze e della crisi dell’intero popolo e sistema del Venezuela. E ciò vale per tutti, per chiunque trovi scuse, pretesti e escamotage per non sedersi al tavolo delle negoziazioni.
In Venezuela, in queste ore si dovrebbe pubblicare ovunque il testo della catechesi di Papa Francesco di mercoledì scorso incentrata sulla Misericordia e il dialogo; catechesi in cui Francesco ha sottolineato: “Tutte le forme di dialogo sono espressione della grande esigenza di amore di Dio, che a tutti va incontro e in ognuno pone un seme della sua bontà, perché possa collaborare alla sua opera creatrice. Il dialogo abbatte i muri delle divisioni e delle incomprensioni; crea ponti di comunicazione e non consente che alcuno si isoli, rinchiudendosi nel proprio piccolo mondo. Non dimenticatevi: dialogare è ascoltare quello che mi dice l’altro e dire con mitezza quello che penso io. Se le cose vanno così, la famiglia, il quartiere, il posto di lavoro saranno migliori. Ma se io non lascio che l’altro dica tutto quello che ha nel cuore e incomincio ad urlare – oggi si urla tanto – non andrà a buon fine questo rapporto tra noi; non andrà a buon fine il rapporto fra marito e moglie, tra genitori e figli. Ascoltare, spiegare, con mitezza, non abbaiare all’altro, non urlare, ma avere un cuore aperto.”