«Ho raccontato ormai tante volte e in diverse occasioni la risposta che mi diede padre Luis Dri quando ero arcivescovo nell’altra diocesi, a Buenos Aires. Gli avevo chiesto che cosa facesse quando, uscendo dal confessionale dove aveva trascorso molte ore della giornata, avvertiva lo scrupolo di aver perdonato troppo. Mi disse che era solito andare di fronte al Tabernacolo, di fronte al Santissimo Sacramento, chiedendo lui stesso perdono per aver troppo perdonato e che concludeva rivolgendosi così a Gesù: “Ma sei stato Tu che mi hai dato il cattivo esempio!”». Sono le parole con cui Papa Francesco evoca uno degli episodi che più ha citato del suo passato di sacerdote e confessore. “Mi avevano colpito queste sue parole” ammette lui stesso “e per questo non ho mai smesso di raccontarle, perché ci parlano di un atteggiamento quanto mai necessario oggi”. Lo fa introducendo a sorpresa – quasi al termine dell’anno giubilare sulla misericordia – il libro del novantenne padre cappuccino Luis Dri scritto con Alver Metalli e Andrea Tornielli, pubblicato da Rai-Eri. Il libro racconta, dalla bocca del frate – quarto di dieci fratelli di una famiglia della provincia argentina divenuti religiosi nella loro totalità (un caso unico a nostra conoscenza) -, la sua vocazione, l’incontro con Bergoglio e la lunga vita da confessore, una pratica a cui dedica molte ore al giorno da sessant’anni a questa parte.
«Il penitente che bussa alla porta dei nostri confessionali può essere arrivato di fronte all’abbraccio misericordioso di Dio per innumerevoli cammini scrive» il Papa nella prefazione. «Può essere un fedele che si accosta abitualmente al sacramento della riconciliazione, oppure qualcuno che vi arriva spinto da qualche circostanza eccezionale. Può essere entrato casualmente in chiesa – ma nei piani di Dio Padre nulla è casuale – oppure quel gesto può essere la tappa finale di un percorso molto sofferto. Qualunque sia stata la spinta, quando una donna, un uomo, un giovane o una persona anziana si accostano al confessionale, bisogna far percepire loro l’abbraccio misericordioso del nostro Dio. Un Dio che ci precede, ci aspetta, ci accoglie. Proprio come accadde al Figliol Prodigo, il quale rientra a casa dopo aver dilapidato in poco tempo la metà delle ricchezze che aveva preteso da suo padre. Aveva toccato il fondo, si era fatto forza, era tornato a casa. Il padre misericordioso era lì, a scrutare l’orizzonte. Era lì, ad attenderlo con le braccia aperte. E quando il figliol prodigo ha cominciato a parlare, ad accusarsi del suo peccato, il padre quasi non l’ha lasciato parlare, lo ha abbracciato, lo ha riaccolto come figlio, lo ha restituito come fratello all’altro figlio. Non lo ha messo a lavorare tra i servi. Gli ha restituito la piena dignità di figlio».
Padre Luis Dri racconta nel libro di avere ritagliato e messo sulla parete del confessionale una riproduzione del quadro di Rembrandt che descrive la scena dell’abbraccio tra il Padre e il Figliol Prodigo. Osserva il Papa: «Padre Luis ci ricorda che il particolare forse più importante di questo dipinto sono le mani del Padre misericordioso, che non sono identiche tra di loro: una mano, quella di sinistra, è maschile, l’altra è più femminile. La misericordia, come pure la compassione, quella commozione viscerale che prova Gesù in diverse pagine del Vangelo, ha caratteristiche sia paterne che materne. La misericordia è il viscerale amore materno, che si commuove di fronte alla fragilità della sua creatura e la abbraccia, e nel suo aspetto propriamente maschile è la fedeltà forte del Padre che sempre sostiene, perdona e torna a rimettere in cammino i suoi figli».
Nella prefazione al libro “Non avere paura di perdonare”, in uscita in questi, giorni il Papa ripete un concetto che gli è caro: «l’unica forza capace di conquistare il cuore delle persone è la tenerezza di Dio. Ciò che incanta e attrae, ciò che piega e vince, ciò che apre e scioglie dalle catene, ciò che libera, non è la forza degli strumenti o la durezza della legge, ma la debolezza onnipotente dell’amore divino, è la forza irresistibile della sua dolcezza e la promessa irreversibile della sua misericordia». Esemplifica il concetto con l’immagine del grembo femminile che ricrea. «L’essere abbracciati, l’essere di fronte alla presenza di Dio Misericordioso che si fa vicino a te attraverso il sacerdote, trasforma il confessionale in un grembo materno. Una casa per noi, poveri peccatori, che ci sentiamo orfani e diseredati». Peccatori come peccatore deve sentirsi il confessore. «Diventare dei buoni confessori non è l’esito di un corso professionale» scrive Papa Francesco. «Per essere buoni confessori dobbiamo innanzitutto riconoscerci noi per primi peccatori, e chiedere noi per primi di essere accolti, rialzati, perdonati, inondati di misericordia. Essere noi per primi a lasciarci guardare da Gesù e da Maria. Essere noi per primi a lasciarci coprire dal suo manto. Essere noi per primi capaci di piangere, per i nostri peccati e anche per i peccati di chi si confessa».
Nel prologo Papa Francesco cita un santo molto amato anche dal cappuccino argentino, padre Leopoldo Mandic. «San Leopoldo Mandic, era solito rivolgersi con queste parole al penitente: “Abbia fede, abbia fiducia, non abbia paura. Vede, anch’io sono un peccatore come lei. Se il Signore non mi tenesse una mano sulla testa, farei come lei e anche peggio di lei”. E pochi giorni prima di morire, questo grande santo confessore, aveva detto: “Sono più di cinquant’anni che confesso, e non mi rimorde la coscienza per tutte le volte che ho dato l’assoluzione, ma sento pena per le tre o quattro volte che non ho potuto darla. Può darsi che non abbia fatto tutto il possibile per suscitare nei penitenti la disposizione opportuna”. Teniamo davanti ai nostri occhi queste luminose testimonianze di santi. Ma anche le testimonianze di tanti buoni preti e religiosi, che quotidianamente, nel nascondimento, aprono le porte delle chiese e dei confessionali, accolgono, ascoltano, sollevano la mano benedicente dispensando misericordia e perdono all’umanità ferita del nostro tempo».
Nella prefazione il Papa sottolinea il valore sociale della misericordia. «Se è vero che viviamo tempi difficili, quella che ho più volte definito una “guerra mondiale a pezzi”; se è vero che viviamo in tempi di terrore e di paura, per la violenza cieca che ci appare priva di qualsiasi umanità, è vero anche che gli esempi positivi, grazie a Dio, non mancano. Ogni segno di amicizia, ogni barriera scalfita, ogni mano tesa, ogni riconciliazione, anche se non fa notizia, è destinata a operare nel tessuto sociale. Sia esso quello delle nostre famiglie, dei nostri quartieri, delle nostre città, delle nostre nazioni, dei rapporti tra gli Stati. Il fiume in piena dell’odio e della violenza, non dimentichiamolo mai per favore, nulla può contro l’oceano di misericordia che inonda il nostro mondo. Immergiamoci in questo oceano, lasciamoci rigenerare. Permettiamo a Dio di agire in noi, chiediamogli vincere la nostra indifferenza e di diventare capaci, a nostra volta, di compassione, condivisione, solidarietà e anche lacrime, per mettere la nostra guancia sulla guancia di chi soffre nel corpo e nello spirito».