“Testimone della Libertà” negli Stati Uniti. E’ il destino, alquanto sorprendente, di monsignor Romero, beato dal maggio 2015, appena annoverato nella ristretta lista dei quindici testimonial di una campagna per la libertà religiosa promossa dai vescovi degli Stati Uniti, proprio il paese che appoggiò per lungo tempo il regime di destra che ne provocò la morte e che in ampi settori del suo cattolicesimo non ha visto di buon occhio la sua predicazione a San Salvador. Ma così è. Forza della santità, che oltrepassa confini territoriali ed ideologici e si fa largo anche dove non lo si supporrebbe.
“La quincena por la Libertad”, i quindici per la libertà, è una campagna nazionale promossa dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti che prenderà avvio il 21 giugno “per fomentare la libertà religiosa e difendere il diritto delle istituzioni e fedeli religiosi ad esercitare la libertà di coscienza nella società contemporanea nordamericana”. Quest’anno nel ristretto novero delle figure più esemplari proposte ai cattolici a stelle e strisce ci sarà anche Romero e altri 14 testimonial del calibro di John Fisher e Tommaso Moro, le cui reliquie vengono portate in pellegrinaggio di stato in stato, con santi contemporanei come Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Kateri Tekakwitha e il beato messicano Miguel Pro o antichi come Pedro e Paolo, Giovanni Battista, le sante Felicita e Perpetua. Ci saranno anche le Hermanitas de los Pobres, cooptate tra i 15 per la loro lotta contro le disposizioni della legge sanitaria americana sulla contraccezione.
Il sito SuperMartyrio di Carlos Colorado, sempre attento a quel che si muove attorno al beato salvadoregno, riferisce, con la notizia, anche la critica di settori progressisti del cattolicesimo Usa che vedono nella cooptazione del vescovo martire una operazione che non gli rende veramente giustizia. Una ragione di più per sorprendersi per il reclutamento di Romero come apostolo della libertà.
L’interpretazione “conservatrice” pone l’accento sul fatto che Romero abbia lottato contro gli attacchi del governo alla Chiesa e sebbene reclamasse una maggior giustizia sociale non promosse lo statalismo come panacea di tutti i mali. Inoltre – sostengono – voleva restaurare una “civilizzazione cristiana” per promuovere valori umanisti nella società. Altro argomento estratto dalla poliedrica personalità del “Santo d’America” punta sul fatto che accusasse il governo di complicità negli assassini di sacerdoti che difendevano i poveri ma anche di voler liberalizzare le restrizioni contro l’aborto a cui la Chiesa di El Salvador si opponeva (omelia del 2 ottobre 1977); a questo proposito si cita l’omelia del 17 giugno del 1979 in cui l’arcivescovo di San Salvador comparò l’aborto alla repressione dello stato. “Credeva anche che il popolo salvadoregno—il fedele e santo popolo salvadoregno come lo chiamava – sarebbe stato l’artefice della propria liberazione” scrive SuperMartyrio. Con una postilla, diretta ai riformatori: “Se veramente amiamo il Popolo e se vogliamo difendere il Popolo, allora non possiamo togliergli quello che ha di più prezioso, cioè la sua fede in Dio, il suo amore per Gesucristo, i suoi sentimenti cristiani” (Omelia di gennaio 1980).