Con l’avallo dell’arcidiocesi primate di Città del Messico e del Cabildo de Guadalupe fa un ulteriore, decisivo, passo in avanti il progetto di nazionalizzazione della celebre basilica dell’apparizione, dov’è custodita la tilma di San Juan Diego. Con linguaggio burocratico le parti in causa informano “che non verrà opposto ricorso” al procedimento amministrativo iniziato in tempi lontani e che si concluderà con il passaggio allo stato del santuario più famoso al mondo. Il quotidiano messicano Excelsior fa sapere che «La dichiarazione ufficiale con cui si formalizza la nazionalizzazione dell’immobile denominato “Templo Nueva Basílica de Guadalupe, Atrio y Anexos”, situato in Plaza de las Américas numeri 1 e 2, nella colonia Villa de Guadalupe, sta per essere pubblicata nel Diario Oficial de la Federación (DOF)», una sorta di Gazzetta ufficiale che notifica, con la pubblicazione, la conclusione di un procedimento amministrativo.
Quello che non è riuscito ai governi anticlericali messicani di fine secolo – l’espropriazione della Chiesa e la sottomissione delle sue prerogative – verrà ottenuto da una democrazia parlamentare targata Peña Nieto e il suo governo? Niente di tutto questo, anche se c’è chi ha ventilato scenari torbidi di una rivincita storica dello stato messicano sulla Chiesa nazionale che è passata attraverso traversie di ogni genere dando filo da torcere a una concezione di laicità che supponeva l’eliminazione, né più né meno, della Chiesa dalla vita pubblica.
Tanto i vescovi del paese ripetutamente visitato dai Papi di questo secolo, ultimo Francesco nel mese di febbraio, come il governo federale messicano avrebbero deciso di comune accordo e senza levate di scudi di spianare il cammino verso la nazionalizzazione che sarebbe stato altrimenti complicato da rivendicazioni e processi interminabili. Nulla da eccepire neppure da parte dell’arcivescovado di Città del Messico con alla testa il cardinale Norberto Rivera Carrera che presto passerà nel novero degli emeriti. Non resta che l’ultima formalità, la dichiarazione amministrativa che dovrà formalizzare il passaggio dell’immobile allo stato. A partire da questo momento sarà quest’ultimo ad assumere il controllo della proprietà, così come dell’amministrazione stessa della basilica che custodisce la celebre tilma dov’è impressa, con termine improprio giacché gli studi non hanno potuto comprovare la presenza di enzimi chimici sul tessuto, l’immagine della celebre Vergine di Guadalupe patrona dell’America Latina.
Niente a che vedere dunque con le nazionalizzazioni alla Plutarco Calles e la persecuzione che determinò la sollevazione cattolica nel 1923 conosciuta come Guerra Cristera. Quella della Basilica e annessi non è la prima e non sarà l’ultima “espropriazione” rassicurano fonti ecclesiali, che rimandano alla legge sulle associazioni religiose pubblicata il 15 luglio 1992 che stabilisce che tutte le chiese aperte al culto pubblico prima del gennaio 1992 quando si concretizzò la riforma in materia religiosa voluta dall’ex presidente Carlos Salinas de Gortari, passassero alla nazione. E dato che la Nuova Basilica di Guadalupe è stata costruita nel 1979, dunque prima della riforma, non è stato possibile iscriverla nel Registro Público de la Propiedad. Cosa che verrà fatta adesso. E anche se l’amministrazione passerà nelle mani dello stato – rassicurano dall’arcivescovado di Città del Messico – tutto quello che ha a che vedere con la liturgia e il culto continuerà come oggi sotto la tutela delle autorità dell’arcidiocesi e della Conferenza episcopale messicana.
Chi non è affatto tranquillo sul futuro sono le centinaia di venditori che gremiscono le adiacenze della Basilica visitata annualmente da una ventina di milioni di devoti della morenita. La nazionalizzazione della Basilica implica che anche la nazionalizzazione della così denominata Plaza Mariana, l’ultima costruzione del complesso guadalupano, che include mercati e un paio di mega posteggi. “Sarebbe bene che il documento che nazionalizza la Basilica specificasse con precisione quali sono questi “annessi” reclamano le associazioni dei venditori, “per evitare ogni tipo di frode e di arbitrarietà”. In caso contrario, la guerra che la Chiesa non vuole fare, la minacciano i venditori ambulanti.