A pochi mesi dal primo turno delle elezioni generali in Perù (il 10 di aprile), sembra difficile la ripetizione dell’exploit di 5 anni fa, quando Humala vinse la corsa alla presidenza grazie all’apporto decisivo della sinistra e una donna di quel blocco, Susana Villarán, veniva eletta sindaco della capitale Lima. Cinque anni dopo, quella stessa sinistra è in crisi. “Divisa, demoralizzata, scollegata della gente”: così l’ha dipinta la rivista messicana Proceso in un editoriale. Una crisi che si riflette nei sondaggi: ad oggi, dei quattro partiti che compongono il blocco di sinistra, nessuno supererebbe la soglia di sbarramento del cinque per cento necessaria per accedere al parlamento.
Il Perù si appresta dunque ad accodarsi all’andazzo generale di una regione che pare attraversare un revival conservatore, dopo un decennio e passa di governi progressisti. Dall’Argentina –appena transitata dal governo dei Kirchner a quello conservator-liberale di Macri-, a un Cile in cui perfino Michelle Bachelet, colpita dallo scandalo di corruzione che ha coinvolto il figlio e la nuora, vive un drammatico crollo di popolarità e passando per un Brasile in cui non trascorre giornata senza che Dilma Rousseff debba schivare nuove accuse e richieste di dimissioni. Eppure, per la nazione andina, si tratta forse di un semplice ritorno alla normalità.
Il Perù “è un paese molto di destra paragonato al resto dell’America Latina”, ha spiegato a Proceso l’analista politico e storico, Antonio Zapata. “Il Perù ha pochissimi governi che siano stati progressisti o di sinistra durante la sua storia, mentre il resto della regione sì, ha cicli di sinistra”, ha commentato. Unica eccezione, il governo del generale Juan Velasco Alvarado (1968-1975), che decretò la nazionalizzazione ed il forte controllo dello Stato su banche e miniere.
Ma dal ritorno della democrazia, nel 1980, e fino alla vittoria di Humala nel 2011, la sinistra del Perù non era mai stata al potere. Anche se dopo poco tempo, i suoi deputati hanno ripudiato lo stesso Humala, ritenendo che le sue politiche non si discostassero troppo da quelle di predecessori come Fujimori e facendone precipitare la popolarità al di sotto del 20 per cento. Stessa sorte è toccata al sindaco di Lima, Villarán, sconfitta nella corsa alla re-elezione nel 2014, con poco più del 10 per cento dei voti. Per questo, osserva Zapata, “l’elettorato rimane deluso dalle opzioni di sinistra”, tanto che, con la campagna elettorale appena cominciata, i 3 o quattro candidati più accreditati per la vittoria propongono un modello neoliberale, scrive sempre Proceso.
A sinistra, l’unica figura emergente –benché accreditata di un misero 2 per cento dei voti- si chiama Verónika Mendoza, una giovane deputata passata all’opposizione di Humala appena un anno dopo la sua elezione. Ma soprattutto, concordano gli analisti, c’è un elemento che pesa più di altri nella debolezza della sinistra peruviana: la lontananza nella vita sociale. “Nel passato i militanti di sinistra erano presenti nei sindacati, nelle associazioni di quartiere, nell’ordine degli avvocati… Dove c’era un settore organizzato della società, lì c’era la sinistra”, dichiara Zapata. “Oggi è un gruppo composto da professori universitari, editorialisti… ma ha abbandonato il lavoro sociale”. Una latitanza che si unisce sia all’incapacità di parlare alle classi popolari contrarie alle politiche neoliberiste –e che quindi sarebbero potenziali elettori- sia al fatto che la popolazione non comprende più la tradizionale divisione destra/sinistra tanto che secondo i sondaggisti di Ipsos Perù “soltanto il 30 o il 40 per cento della gente conosce i termini di destra e sinistra”.
Ma chi sarà capace di intercettare quel bacino di voti, probabilmente si garantirà la presidenza. Secondo gli analisti, uno di quelli che per il momento ci sta riuscendo meglio è Cesar Acuña, ex governatore di Trujillo e candidato dell’Alleanza Per il Progresso. Acuña, 63 anni, è un imprenditore che ha fatto fortuna a partire dalla fondazione di 3 università, di bassa qualità ma accessibili per le classi popolari e che, per i nemici, gli hanno garantito una importante rete clientelare. Ma forse ancora meglio ci sta riuscendo colei che –con più del doppio dei voti- precede proprio Acuña nei sondaggi. Keiko, quarantenne figlia del ex presidente conservatore Fujimori, è la protagonista indiscussa di una spettacolare virata a sinistra che l’ha portata a scegliere come suo candidato a vicepresidente uno dei fondatori del partito che nel 2011 aveva portato Villarán a conquistare il municipio di Lima. Forse, dopotutto, la sinistra non sta così male in Perù.