E ALLORA ARRIVEDERCI SUPERNONNI. Buena Vista Social Club all’ultimo tour. Ma la musica “non dice mai addio”

Adios tour2014
Adios tour2014

Vai a Cuba. Prendi un gruppo di musicisti perlopiù ottuagenari, celebri negli anni ’50, ma da un po’ di tempo finiti nel dimenticatoio, pensionati dal cambiare delle mode e dei regimi. Mettili insieme, sapendo che hanno ancora un talento bestiale. Dai al tutto un nome evocativo, che rimandi a un vecchio locale dell’Havana in cui si suonava e ballava fino a tarda notte tra il fumo dei sigari, e il gioco è fatto. Nasce il fenomeno Buena Vista Social Club: un disco, milioni di copie vendute, un Grammy, tour mondiali e un film-documentario di grande successo.

Accade nel 1996. Il mondo, grazie all’“esploratore” di musiche popolari, Ry Cooder, riscopre la musica tradizionale cubana – il cosiddetto son – e nomi come Ibrahim Ferrer (classe 1927), Compay Segundo (1907), Omara Portuondo (1930) diventano tutto ad un tratto familiari al grande pubblico. È il momento dei “super abuelos” – i super nonni, come vengono ben presto ribattezzati – accolti come star nei più prestigiosi palcoscenici del mondo, dalla Carnegie Hall di New York al Liceu di Barcellona. Un’esperienza, quella del Buena Vista, che dura ininterrotta da vent’anni e che va al di là del mero dato anagrafico. Se infatti alcuni “super nonni” – come Ferrer, Compay o Rubén Gonzalez – sono nel frattempo mancati, subito sono stati sostituiti da giovani talenti, come il cantante Carlos Calunga e il pianista Rolando Luna. Un mix di esperienza e gioventù che, per dirla con uno dei “grandi vecchi” dell’ensemble, Guajiro Mirabal, è parte del segreto del successo del “Club”.

Ma adesso anche per il Buena Vista Social Club e i suoi membri è arrivato il momento di separarsi, di prendere strade diverse. L’addio ai fan verrà consumato in un tour mondiale che si concluderà nell’autunno del 2015, che sin dal nome non vuole lasciare spazio a dubbi o ripensamenti: “Adiòs Tour”.

“I musicisti del Buena Vista sono tutti nel pieno delle loro facoltà. Quindi dopo il tour non ci fermeremo definitivamente. Toglieremo semplicemente un impegno, ciascuno di noi ha il suo lavoro ed i suoi progetti. Quando dovremo riunirci, ci riuniremo di nuovo. Già adesso siamo uniti per sempre”, spiega Barbarito Torres, uno dei membri storici del gruppo.

Il successo dei Buena Vista non si spiega soltanto con il calore della musica cubana che pure, loro stessi ripetono, “piace in tutto il mondo”. Gran parte del segreto sta probabilmente nell’amicizia che unisce i musicisti, nel rispetto e nell’ammirazione che hanno l’uno per l’altro, prodotti di un lungo percorso comune e della gioia di averlo tramandato alle giovani generazioni, senza tralasciare il sincero divertimento e il piacere di stare insieme che traspare nei loro concerti. Musica, quella cubana, che nelle parole di Omara Portuondo –la “Edith Piaf caraibica” e vera diva del gruppo – ha sempre avuto “un posto rilevante a livello mondiale. Tutto il mondo ha studiato la nostra musica. È uno dei nostri biglietti da visita”.

Come sempre alla fine di ogni percorso, anche per Il Buena Vista Social Club è tempo di bilanci. A Cuba il genere è tornato popolare, in particolare tra i ragazzi: “Nelle strade – spiega Torres – si rivedono i giovani suonare il contrabbasso. I turisti che vengono ascoltano le canzoni più celebri, come El Cuarto de Tula o il Chan Chan. Tutto questo è iniziato grazie noi”. E alla bellezza di una musica unica, nata dalla contaminazione con altri generi. Su tutti, il jazz. “Il jazz già esisteva, ma dove ha iniziato ad avere molta forza è stato qui”, aggiunge la Portuondo. “I musicisti americani venivano a Cuba. Qui, l’improvvisazione sulla melodia si è sempre fatta, è sempre stata normale”. Torres conferma: “Qui c’è un mix. Noi stessi, che facciamo musica tradizionale, quando improvvisiamo ci troviamo a fare cose jazzistiche, anche se non lo vogliamo. Perché il jazz si è alimentato anche qui dalle radici del son cubano”.

Eppure, leggendo tra le righe, né per la Portuondo né per i suoi compagni, questo che si accingono a mettere in scena pare un addio definitivo. Dice infatti la cantante, interpretando un po’ il pensiero di tutto il gruppo: «La parola “addio”, io non la dico mai. Dico: questo è un concerto speciale. Ma non vorrei fosse un addio, perché questa musica è la nostra musica». Sul fatto è che la musica “non dice mai addio”, concordano anche i colleghi Barbarito Torres (58 anni), il trombettista “Guajiro” Mirabal (81) e Jesùs “Aguaje” Ramos (63), trombonista e direttore musicale della formazione.

Più che di un “adiòs” la sensazione è che si tratti piuttosto di un arrivederci.

Torna alla Home Page