La scoperta recente di un gruppo di ricercatori tedeschi aggiunge un tassello per comporre nel suo insieme il puzzle dell’enigmatica cultura Maya e mostra che anche quest’antica civilizzazione precolombiana era violenta con prigionieri di guerra od oppositori al potere costituito.
Un equipe di archeologi tedeschi ha incontrato nel centro storico dell’antica città maya di Uxul, nel Chiapas messicano, una fossa comune con resti di individui decapitati e smembrati risalente ad approssimativamente 1400 anni fa. Dopo cinque anni di ricerche nel sito archeologico il gruppo di antropologi e archeologi dell’Università di Bonn, in Germania, in collaborazione con il messicano Antonio Benavides, dell’Istituto nazionale di antropologia e storia, hanno portato alla luce 24 scheletri sepolti in una caverna artificiale di 32 metri quadrati di superficie. Lo stato di conservazione dei resti era notevole, informano i ricercatori, favorito dalle proprietà del fango in cui erano immersi. Gli esami successivi hanno potuto stabilire l’età e il sesso di 15 dei 24 individui, 13 uomini e due donne, tra i 18 e i 42 anni d’età. I crani – questa la scoperta – presentavano evidenti segni di violenza e nella maggior parte di essi erano state staccate le mandibole. Le vertebre cervicali mostravano colpi d’ascia, indicando che i corpi erano stati decapitati e fatti a pezzi.
La conclusione dei ricercatori è che effettivamente i maya facevano a pezzi i loro nemici, come appare anche da alcune raffigurazioni della loro arte.