LE BANDE DELL’HONDURAS PRONTE AL DISARMO. In uno storico passo i membri delle maras hanno chiesto perdono a Dio e alla società per i loro errori

Membri della banda 18 nel momento in cui chiedono perdono alla società e offrono una tregua
Membri della banda 18 nel momento in cui chiedono perdono alla società e offrono una tregua

La foto azzurrognola è di quelle che resteranno a lungo, o faranno storia come si dice più solennemente. Tre giovani appartenenti alle sanguinarie bande giovanili dell’Honduras, meglio conosciute come maras Salvatruchas, controllano che i fazzoletti coprano bene il volto; alle loro spalle, ma questo non si vede, il murales della Madonna di Guadalupe. E’ il momento del pentimento pubblico e della richiesta di perdono di alcuni capi delle pandillas che seminano morte nelle strade del paese centroamericano. Qualcosa che è già avvenuto nel vicino Salvador e di cui il presidente Mauricio Funes aveva parlato a Papa Francesco nel corso dell’incontro in Vaticano di due settimane fa. La scena, questa volta, si svolge a San Pedro Sula, la seconda città dell’Honduras. I tre capi banda mascherati chiedono perdono a Dio e alla società per il male provocato e si dicono pronti a smobilitare se chi può – il governo tra questi – terrà conto della loro situazione e delle loro richieste. La stessa scena si ripete venti minuti dopo nel carcere della città, dove altri tre capi, questa volta delle maras 18, avversarie a morte delle Salvatruchas, si dicono anch’essi pronti a mettere fina alla violenza. “La tregua è con Dio e con la società; vogliamo che cessi la violenza”. Loro, a differenza degli altri, sono a volto scoperto, e del resto sono dietro le sbarre già da tempo. Alcuni hanno una certa età, dei figli morti, vittime delle vendette incrociate tra bande, e dei figli vivi, per cui chiedono una opportunità. Che vuol dire lavoro, aiuto ad iniziare attività commerciali, incentivi all’avvio di piccole aziende, mercato per le loro produzioni, ma anche educazione gratuita e, almeno nei primi tempi, protezione dalle possibili ritorsioni. “In cambio offriamo zero violenza nelle strade e zero crimini”. E’ solo il primo passo, e promettono di dimostrarlo con i fatti. Il capobanda dichiara di parlare a nome della propria organizzazione, tanto dei membri in carcere, come di quelli che sono fuori. Offre “una tregua immediata” e chiede che si inizi a parlare “della maniera di uscire dalla strada di morte e svilupparsi pacificamente”. Promette anche la fine del reclutamento: “Non permetteremo che nessun’altro entri a far parte della nostra organizzazione anche se vuole entrarvi”.

La Chiesa ha avuto un ruolo chiave nella pacificazione delle bande dell’Honduras. A entrambe le conferenze stampa delle maras, la Salvatruchas e la 18, è stato presente monsignor Rómulo Emiliani, vescovo ausiliare di San Pedro Sula, vero ispiratore della tregua, e il rappresentante dell’Organizzazione degli stati americani (OEA) Adam Blackwell, anch’egli attore fondamentale dell’accordo nel Salvador e ora attivo anche sul fronte dell’Honduras.

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